Un filo diretto con l'etologia cognitiva e relazionale

Filosofo, etologo e zooantropologo.
Da oltre vent’anni conduce una ricerca interdisciplinare volta a ridefinire il ruolo degli animali non umani nella nostra società.
Direttore del Centro Studi Filosofia Postumanista e della Scuola di interazione uomo-animale (Siua), è autore di oltre un centinaio di pubblicazioni nel campo della bioetica animale, delle scienze cognitive e della filosofia post-human.
È inoltre direttore della rivista “Animal Studies”, la Rivista Italiana di Zooantropologia (Apeiron).

Il mio gatto ed io: sfatiamo i luoghi comuni

La relazione col gatto
Il gatto è un solitario?

Nonostante il luogo comune che disegna il gatto domestico come un animale solitario, idiosincrasico all’interazione sociale e amante della solitudine, in realtà il piccolo felino è ben predisposto a costruire legami e affiliazioni. In determinate occasioni arriva persino a vivere all’interno di piccole comunità, a istituire dei circostanziati ambiti di collaborazione, come nelle nursery tra più femmine. D’altro canto sarebbe un errore interpretare tale vocazione sociale utilizzando il metro del cane o dell’essere umano, ove ritroviamo gruppi organizzati per ruoli e attività di concertazione operativa. Pertanto possiamo affermare che il gatto non sia propriamente un animale solitario, ammettendo, per contro, che in lui esistano anche delle propensioni solitarie e un modo di percepirsi strettamente individualista.

Gatto e socialità

Diciamo allora che la socialità del gatto non è a 360 gradi, presentando delle zone di maggiore apertura, delle situazioni di tolleranza, delle aree recisamente controindicate.
Alcune differenze riguardano il genere, altre si riferiscono al livello di parentela. I gatti maschi, per esempio, tendono a essere più appartati delle femmine, così come tra fratelli c’è una maggiore tendenza affiliativa e accettazione della condivisione degli spazi, del tutto inferiore tra gatti estranei. Se è riscontrabile una tendenza genetica per quanto concerne la socievolezza, anche l’ontogenesi, ossia la storia specifica di quell’individuo, ha un’influenza considerevole nella disponibilità sociale del micio: la propensione sociale di ogni gatto risente molto delle esperienze ricevute nel lasso di tempo che va dalla quarta all’ottava settimana di vita. Va inoltre segnalato che i gattini che crescono all’interno di una colonia felina tendono a essere molto più tolleranti alle condivisioni di spazio.

Svezzamento e socievolezza

È importante inoltre che durante i primi due anni di età il gatto abbia condiviso il proprio spazio di vita con altri gatti: se, viceversa, avrà trascorsi gli anni della giovinezza, quelli più importanti per la costruzione del carattere e per la formazione del patrimonio esperienziale, in una condizione di solitudine farà molta più fatica ad accettare la presenza di altri gatti e la condivisione degli spazi. In altre parole, anche il grado di socievolezza è un tratto individuale.
Indubbiamente esistono situazioni ove il concorso sociale è ricercato, come la già citata tendenza alla collaborazione genitoriale tra femmine, in particolare se legate da rapporti di parentela stretta, quali mamma e figlia oppure tra sorelle. Altre situazioni rappresentano un vincolo ovvero non sono indicate per l’incontro sociale.

Il rispetto della privacy

Il gatto, in alcuni ambiti della propria vita, come il mangiare o lo svolgere in santa pace le deiezioni, ama una privacy pressoché assoluta: in questi casi tende a isolarsi e preferisce essere in una condizione di titolarità di accesso, senza qualcuno che lo disturbi o gli impedisca, con la sola presenza, il libero passaggio.
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Il brano è tratto da L’identità del gatto, Roberto Marchesini, Apeiron 2017

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