Un filo diretto con l'etologia cognitiva e relazionale

Filosofo, etologo e zooantropologo.
Da oltre vent’anni conduce una ricerca interdisciplinare volta a ridefinire il ruolo degli animali non umani nella nostra società.
Direttore del Centro Studi Filosofia Postumanista e della Scuola di interazione uomo-animale (Siua), è autore di oltre un centinaio di pubblicazioni nel campo della bioetica animale, delle scienze cognitive e della filosofia post-human.
È inoltre direttore della rivista “Animal Studies”, la Rivista Italiana di Zooantropologia (Apeiron).

Essere cane: uno sport di squadra

Essere cane copertina

Collaboro quindi sono
Che il cane sia un animale sociale è opinione condivisa, ma non sempre si comprende lo stile del suo bisogno di vivere in compagnia e di condividere i momenti della propria esistenza.
C’è una parola chiave: collaborazione

Cosa significa essere un animale sociale?

Quando affermiamo che il cane è un animale sociale stiamo dicendo una cosa giusta e tuttavia ancora troppo generica per comprendere pienamente cosa significhi per il cane convivere e condividere. Anche l’essere umano o il gatto sono animali sociali ma il loro modo di stare in compagnia e costruire amicizia, solidarietà e affiliazione è profondamente diverso.

Volendo generalizzare potremmo dire che ogni animale deve in qualche modo equipaggiarsi di uno stile di relazione sociale, non fosse altro perché deve accoppiarsi e, nel caso dei mammiferi e degli uccelli, fornire cure parentali alla prole.
Il gatto intrattiene relazioni sociali complesse sia verso i conspecifici che verso l’uomo, relazioni che talvolta assumono il profilo del confronto ma altresì della convivenza, dell’affiliazione e in certi ambiti dell’aiuto reciproco.
In generale comunque possiamo dire che il gatto ha una relazione conviviale con l’uomo – ci incontriamo e stiamo insieme quando non c’è nulla da fare e quindi possiamo rilassarci o giocare – a differenza del cane che interpreta lo stare insieme come momento di collaborazione e di azione comune.

Siamo una squadra

Il cane tende a ragionare con il noi, soprattutto quando si tratta di fare un’attività, e solo raramente si ricorda di essere un individuo.

La dimensione di vita del cane, come peraltro quella del suo progenitore, il lupo, può essere paragonata al collettivo di squadra, vale a dire del gruppo che agisce in sintonia per realizzare i propri obiettivi: difendere il territorio, proteggere i membri del gruppo, procurarsi del cibo e più in generale vivere.
Vivere in gruppo significa per il cane sentirsi prima di tutto “parte di un progetto comune”. Ogni azione – dal perlustrare un ambiente al proporre un intermezzo ludico – viene pensata come attività comune che quindi richiede una chiamata alle armi dell’intera comunità. Per questo il cane tende a ingaggiare le persone e a lasciarsi ingaggiare: il richiamo del gruppo ha un fascino irresistibile e il cane s’immerge nell’azione comune con tutte le sue energie fisiche e mentali.
Pensarsi in modo collettivo significa sentire gli altri come parti del Sé – il cane è pronto a sacrificarsi per il gruppo perché non c’è una distanza esistenziale tra lui e gli affiliati – in un modo così profondo che noi umani facciamo fatica a comprendere pienamente.

Per il cane la solitudine protratta nel tempo è sofferenza

Il cane soffre molto la solitudine perché è come privarlo di alcune parti del suo corpo, giacché la sua dimensione comprende anche il corpo dei compagni di vita, perché lui si proietta in uno spazio esistenziale che è fatto di relazioni ancor prima che di ambiente.
Alcuni affermano che il cane deve vivere in giardino, altri ne fanno la causa di tutti i mali: ma questa frase non vuole dire nulla. Un conto è se il cane passa la vita in solitudine in giardino, un conto se il giardino è un luogo d’incontro. E non si tratta di un semplice bisogno di compagnia o di affetto ma di un’esigenza globale, di un modo di esistere nel senso più completo del termine. Un cane da solo non è deficitario di qualcosa in particolare ma gli viene a mancare il senso stesso della vita. Per questo se lasciato in solitudine cercherà in ogni modo di evadere da quella situazione innaturale, cercare pertugi di relazionalità con gli altri – fossero pure conflittuali – o andrà incontro a gravi derive comportamentali.

La libertà per il cane non si misura perciò nella grandezza di una casa o di un giardino o nella possibilità di fare liberamente ciò che individualmente si desidera: per il cane libertà è partecipazione.
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Il brano è tratto da L’arte di collaborare, collana Quaderni di cinologia, Apeiron 2015

Foto di copertina: MeyerRe.com

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