Un filo diretto con l'etologia cognitiva e relazionale

Filosofo, etologo e zooantropologo.
Da oltre vent’anni conduce una ricerca interdisciplinare volta a ridefinire il ruolo degli animali non umani nella nostra società.
Direttore del Centro Studi Filosofia Postumanista e della Scuola di interazione uomo-animale (Siua), è autore di oltre un centinaio di pubblicazioni nel campo della bioetica animale, delle scienze cognitive e della filosofia post-human.
È inoltre direttore della rivista “Animal Studies”, la Rivista Italiana di Zooantropologia (Apeiron).

Perché il gatto?

perche il gatto
Immagine di copertina: Wikimedia Commons

La relazione con il gatto, così attenta all’estetica e alla stupefazione, non sempre è sviluppata nelle sue possibilità e spesso risulta assai poco rispettosa.

Di lui amiamo la malia dello sguardo, la sinuosità del movimento, le straordinarie doti acrobatiche, l’armonia del corpo, ma così facendo siamo portati a trasformare il piccolo felino più in un oggetto da ammirare che in un partner da considerare nelle sue caratteristiche relazionali.

Bello ma traditore, sornione ma pronto a colpirti, seduttivo eppure in fondo anaffettivo, capace di mostrarsi indifeso e bisognoso di cure parentali e di converso maestro d’ingratitudine: innumerevoli sono le opposizioni suscitate dal gatto in un caleidoscopio di luoghi comuni che mostrano la difficoltà dell’uomo a dare un significato o anche solo una giustificazione al proprio interesse per il gatto. Ancor oggi si sente affermare che il gatto non è un animale sociale e che dedicarsi alla relazione con lui è tempo perso: niente di più sbagliato.

Il gatto, a differenza del cane, manifesta verso l’uomo una convivenza emancipata, come se volesse costantemente dirci “sì, ti voglio bene, ma lasciami fare le mie cose da solo”. Così, a dispetto del gran numero di manifestazioni di amore e di vera e propria dipendenza affettiva che i gatti riservano ai loro amici umani, puntualmente passano per individualisti, quando non addirittura asociali, ed egoisti, si ritiene che la loro sia un’amicizia venale, che il vero interesse del micio sia per il tetto e per la ciotola.

L’indipendenza operativa del gatto, quel suo fare da artigiano pronto a manipolare il mondo, fa sentire questo animale meno nostro, trasforma la relazione in una sorta di piacere voyeristico. La sublimazione del gatto a dimensione del bello trascina con sé la negazione del gatto come soggetto che va conosciuto e rispettato. Pochi si rendono conto che, benché solista ossia portato a operare in modo individuale sul mondo, il felino ha una socialità complessa e articolata e il suo rapporto con l’uomo presenta ambiti e sfumature molto sottili che vanno conosciute per poter instaurare un’amicizia profonda e autentica.

La dimensione relazionale che è più congeniale al gatto è il continuo gioco di ruolo: ora sono il cucciolo che viene sulle tue ginocchia a impastare e tu sei la mamma; ora, viceversa, sono la mamma e ti porto un topino per insegnarti a cacciare; ora sono un predatore e tu sei la preda e ti faccio gli attacchi alle caviglie, ora sono io la preda e mi faccio rincorrere da te. Ci troviamo di fronte a una relazione istrionica che spalanca le porte alla fantasia e alla singolarità: il rapporto con il gatto è un’avventura unica, ogni volta differente. Per questo sarebbe importante considerarla soprattutto nel suo grande valore dialogico.

Immagine di copertina: Wikimedia Commons

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