Un filo diretto con l'etologia cognitiva e relazionale

Filosofo, etologo e zooantropologo.
Da oltre vent’anni conduce una ricerca interdisciplinare volta a ridefinire il ruolo degli animali non umani nella nostra società.
Direttore del Centro Studi Filosofia Postumanista e della Scuola di interazione uomo-animale (Siua), è autore di oltre un centinaio di pubblicazioni nel campo della bioetica animale, delle scienze cognitive e della filosofia post-human.
È inoltre direttore della rivista “Animal Studies”, la Rivista Italiana di Zooantropologia (Apeiron).

Le cure parentali nel mondo animale (estratto dalle Gis 2017)

Testo della lectio magistralis di Roberto Marchesini tenuta in occasione della V edizione delle GIS – Le Giornate Internazionali Sulla Relazione Uomo-Animale, tenutesi a Bologna il 28 e 29 ottobre 2017.

È importante fare una premessa: spesso, quando vogliamo descrivere o spiegare qualunque ambito della realtà, pensiamo che esista una spiegazione unica, una spiegazione ultima. Allora proviamo a immaginare questo tavolo: potrei spiegarvelo in termini fisici, dirvi quali sono le caratteristiche fisiche, atomiche e sicuramente darei una spiegazione giusta; ancora, potrei spiegare che è fatto di legno e potrei spiegare le caratteristiche del legno, spiegare questo tavolo come frutto di un essere vivente che è vissuto in un determinato momento, che ha introiettato luce acqua e ha dato luogo a questo tavolo, che è il risultato di una vita. Potrei parlarvene come frutto di un artigiano, di un lavoro artigianale di una persona che aveva determinate competenze, potrei parlarvi di questo tavolo come frutto di una cultura, di un momento storico particolare (sappiamo che esistono tavoli del 700, dell’800, etc). Tutte queste spiegazioni sono vere, nessuna è falsa, ma non c’è una spiegazione ultima, sono diversi piani di interpretazione di questa realtà, cioè la realtà non ha un’unica interpretazione, e ogni volta che provo a dare una spiegazione unica della realtà, scusate il gioco di parole, perdo il senso di ciò che sto osservando.

Questo è molto importante quando parliamo di comportamento: posso spiegare il comportamento sotto diversi piani: posso spiegare un comportamento attraverso la fisiologia, dire esattamente quali sono i meccanismi endocrini, immunitari, neurobiologici che stanno producendo quel comportamento, posso parlare di quel comportamento facendo riferimento a quale utilità quei determinati caratteri hanno portato a quella determinata specie in cui si ritrovano, cioè posso fare un’analisi filogenetica, e dire, per esempio, che il comportamento predatorio nel gatto è stato utile perché ha permesso ai gatti di colonizzare un determinato habitat e realizzare un determinato stile di vita: quindi, il comportamento predatorio ha portato una fitness al gatto. Posso studiare il comportamento sotto il profilo di come si è organizzato, come si è sviluppato. Ne abbiamo parlato prima: l’innato che va a scuola dall’apprendimento per organizzarsi, per completarsi, per finissarsi e, molto spesso, per costruire una propria sintassi. Il predatorio, cioè, può essere indirizzato nei confronti di una qualunque altra specie, di un giocattolo o di un qualunque altro oggetto E posso spiegare quel comportamento sulla base del piacere che produce nel soggetto nel momento in cui lo esprime. Tutte queste spiegazioni sono vere. Pertanto, quando diciamo che un animale entra in una fase di corteggiamento, quando diciamo che gli animali si accoppiano per riprodurre la specie, stiamo dicendo qualcosa di vero, ma che è una conseguenza, un piano di realtà, non è tutta la realtà.

Quando dico che un animale entra nella fase di corteggiamento perché ha un determinato ciclo ormonale – testosteronico, estrogenico, dopaminico – sto dicendo qualcosa di vero, ma che rappresenta un piano di realtà. Generalmente, noi scegliamo quei piani di realtà che ci permettono di considerare gli animali come degli automi, che ci permettono di pensare che gli animali non hanno una loro soggettività non principi di piacere, non coinvolgimenti; ci piacciono molto le spiegazioni di tipo filogenetico, come se veramente gli animali si accoppiassero in vista del mantenimento della specie, cosa che a nessun animale viene nemmeno lontanamente in mente. Il mantenimento della specie, al limite, è la conseguenza del processo di accoppiamento, non è certo il motore del corteggiamento per un animale; oppure diciamo essere dei meccanismi ormonali, altro piano di realtà. Spesso questi piani di realtà, queste spiegazioni, non sono escludenti tra di loro: una delle cose che Konrad Lorenz mi ha insegnato in quanto fra gli autori che mi hanno fornito per primi un approccio all’etologia, è che la vita è fatta, sì, di fisica e chimica, certamente gli organismi sono entità fisico-chimiche, ma non sono solo questo.

In altre parole, esistono dei livelli emergenziali di realtà per cui io non posso fare un’operazione riduzionista sulla realtà, perché altrimenti vengo a perdere il fenomeno. Questi piani sono reciprocamente influenzanti fra di loro e non c’è una linearità: non posso dire che il corteggiamento è mosso dal sistema fisiologico o che è mosso dal sistema comportamentale. Il sistema può implementarsi in qualunque punto: potrebbe essere un effetto fisiologico oppure un incontro particolare, che a sua volta innesca il sistema fisiologico, che a sua volta autoimplementa il sistema stesso. Ci troviamo, cioè, di fronte a strutture ricorsive tra di loro e non lineari. Questo è molto importante, perché, così come sono perfettamente d’accordo con l’idea di prendere in considerazione la consapevolezza degli esseri viventi, umani e non umani, quello che assolutamente non sposo è l’idea che la soggettività sia la coscienza. La coscienza è semplicemente l’esplicitazione della soggettività; la coscienza è l’atto di illuminare qualcosa che c’è al di sotto, o al di sopra (i piani gerarchici non mi interessano). Intendo dire che se la coscienza è una lampada, illumina qualcosa che c’è, non fa comparire qualcosa che prima non c’era.
La coscienza è la presa in carico di qualcosa che è precedente. Allora iniziamo a guardare tutti i comportamenti non più come degli automatismi, seppure innescano degli automatismi, ma come passioni, coinvolgimenti, in modo molto simile a tutte le altre passioni, all’amore, per esempio: un animale che mette in atto un comportamento è un animale appassionato, coinvolto, il cui corpo tutto e tutta la sua mente (sistema endocrino, immunitario, psicologia, neurobiologia) sono interamente coinvolti in quell’azione, in quella situazione, il soggetto tutto con le sue motivazioni, emozioni e rappresentazioni.
Non esiste un orologio che si limita a porre in atto dei meccanismi, ma esiste l’amore, che non è solo quello sessuale. La passione non è solamente erotica, è legata alle motivazioni: tutte le motivazioni innescano delle passioni, dei coinvolgimenti e in questi coinvolgimenti il soggetto è completamente immerso, completamente innamorato. Quando parliamo delle cure parentali parliamo di amore, l’amore negli animali, non di un amore erotico, ma dell’amore nei confronti dei cuccioli, dei più piccoli.

Ogni animale che entra nel mondo delle cure parentali è un animale innamorato, coinvolto, che vive emozioni, motivazioni, che prova qualcosa di profondo al proprio interno, al di là che lo illumini o meno. E certamente la passione non è razionalità. Non mi interessa la razionalità: quando ci innamoriamo di qualcuno, non siamo razionali, per definizione l’amore non è razionale. La razionalità entra in gioco, fa il suo gioco ma certamente è un grande arbitro di una partita che si svolge però al suo interno: l’arbitro non è la partita. Le cure parentali sono presenti in tutto il mondo animale, anche se in alcuni animali sono, come dire, istituzionali: tutti gli uccelli e tutti i mammiferi presentano cure parentali. Gli altri animali le hanno sviluppate, chi più, chi meno, chi in una direzione, chi in un’altra, sulla base del fatto che prendersi cura dei cuccioli è vantaggioso. Quindi il principio fondamentale della filogenesi è che tutto deve essere compatibile, tutto deve avere una compatibilità (si chiama fitness): la mantide maschio che sacrifica la propria vita in nome della riproduzione è un carattere assolutamente compatibile. Però, nel momento in cui il soggetto esprime quel comportamento, non entra in gioco la compatibilità filogenetica, entra in gioco il principio di piacere espressivo.

Prima abbiamo parlato di zoo: il punto fondamentale da prendere in considerazione è che possiamo dare tutto il welfare che vogliamo a un animale in uno zoo, quello che gli viene a mancare è la possibilità di esprimere ciò che è. L’espressione è il vero principio di piacere, il potere esprimere le proprie passioni. Quindi una zebra non potrà mai essere passionale in uno zoo, anche se lo zoo le dà sempre cibo, che invece nella savana magari non trova, anche se lo zoo le assicura il fatto di non essere predata, cosa che accade in natura, anche se lo zoo le dà acqua a disposizione senza terribili coccodrilli che saltano fuori di colpo mentre si sta abbeverando; eppure vi assicuro che, potendo mettere in connessione la zebra dello zoo e la zebra della savana, sarà la zebra dello zoo ad andare nella savana e non viceversa. Il welfare, il comfort non è passione, la passione è qualcosa di coinvolgente. È questo il principio di animalità, l’animalità è desiderio, passione, coinvolgimento, non è razionalità non è benessere, non è comfort. Altrimenti non comprendiamo neanche la nostra animalità. Quando dico che l’essere umano è un grande raccoglitore, che amiamo fare raccolte, il principio di cui parlo è la passione di raccogliere, non l’oggetto di raccolta. Non sono gli oggetti che ci soddisfano, che ci appagano, è l’azione, è il potersi esprimere.

A questo punto, andiamo a parlare delle cure parentali, che sono magnifiche, incredibili. Innanzitutto perché ho detto cure parentali e non cure genitoriali? Perché il mondo della natura è incredibile e incredibilmente vario: negli imenotteri sociali la cura dei piccoli è data dalle sorelle: sono le sorelle operaie che si prendono cura delle larve, non la madre, non la regina, che diventa una grande produttrice di uova, non fa altro che fare uova. E così quando parliamo di calabroni, di Polistes, di formiche.

In altre situazioni è il padre a fornire le cure. Tra i pesci, per esempio, l’esempio del cavalluccio marino è paradigmatico: la femmina depone le uova all’interno del corpo del maschio, il quale entra quindi in gravidanza, per poi partorire i piccoli che continueranno per un poco a rientrare di tanto in tanto nella pancia del padre, per puro piacere. Nei Ciclidi (pesci che purtroppo ritroviamo spesso negli acquari), il maschio prende in bocca i piccoli appena nati: Lorenz, che studiava i Ciclidi, ebbe l’opportunità di osservarne uno che, posto di fronte alla scelta tra un vermetto con cui sfamarsi e i suoi piccoli sparsi in acqua da raccogliere, scelse di mettere al riparo innanzitutto questi ultimi, ignorando la preda. In quell’occasione, Lorenz osservò che quel pesce stava pensando. Lorenz, sfortunatamente, è stato chiuso nella definizione di sostenitore della psicoenergetica, ma in tutti i suoi libri traspare la sua visione mentalistica, passionale degli animali. Anche gli scarafaggi sono incredibili: trasportano le uova attaccate sotto la pancia, dentro piccoli sacchetti; tra i ragni, alcuni depongono le uova in un bozzolo e rimangono a guardarle costantemente fino alla nascita dei piccoli, così come le cimici rimangono a vigilare sui piccoli; la forbicina, così piccola, mostra un’attenzione e una cura incredibile delle uova. Parliamo dunque di animali che hanno sviluppato, ciascuno in maniera differente, un modo per prendersi cura di, per avviare il processo di epimelesi, il processo di somministrare cura, che è una caratteristica fondamentale, ma spesso non presa seriamente in considerazione perché ritenuta qualcosa di lezioso, “roba da femmine”.

Quando sento dire che la cura è un comportamento da femmine, invito a studiare il pinguino imperatore e quello che arriva a fare per curare uova e piccoli. Incredibili, poi, sono i diamanti mandarini, il cui maschio lavora tantissimo per i piccoli. Incredibile è che anche in natura si notano molto spesso coppie omosessuali, nelle quali i due maschi si impossessano di un nido di femmina, la scacciano e si occupano dei piccoli presenti nel nido stesso. Per esempio, nei cigni neri d’Australia si osservano sovente coppie omosessuali in cui uno dei due maschi si accoppia con una femmina e, una volta deposte le uova, la femmina viene scacciata per richiamare l’altro compagno della coppia; a questo punto i due maschi si prenderanno cura dei piccoli.

Alite ostetrico maschio che trasporta le uova. Foto © Christian Fischer

Pensiamo dunque alla vastità del mondo delle cure parentali. In alcune rane, le uova vengono messe all’interno del corpo dal quale i piccoli sgusceranno fuori (alite ostetrico, Alytes obstetricans). Diciamo che negli uccelli e nei mammiferi questo comportamento è istituzionale, cioè tutti gli uccelli e tutti i mammiferi presentano le cure parentali, come già prima di loro i dinosauri. Gli uccelli derivano direttamente da un ramo di dinosauri, dai Teropodi e in particolare dai raptor: tutti ricordiamo i velociraptor di Jurassic Park, anche se in realtà il velociraptor somigliava a un tacchino. I mammiferi, invece, derivano dai Cinodonti (vedete come il cane ci sia sempre, in qualche modo!): questi vissero nel Paleozoico, prima dei dinosauri, e da essi sono derivati i mammiferi che sono comparsi tra il Paleozoico e l’inizio del Mesozoico. Ciò significa che i mammiferi sono comparsi prima degli uccelli e bisogna rifare le enciclopedie perché gli uccelli sono gli ultimi , ma questa la dice lunga sul nostro antropocentrismo.

Negli uccelli le cure parentali sono soprattutto del maschio per il motivo che la femmina si accolla la cova, attività che la rende esausta. Esistono però anche sono situazioni in cui si è sviluppata una sorta di parassitismo parentale: un esempio è il cuculo che fa le uova nel nido di altre specie: è interessante qui vedere come nel cuculo l’imprinting non funzioni nel modo tradizionale, perché altrimenti avremmo cuculi che cercano di accoppiarsi con i soggetti della specie che li ha allevati. Invece, il cuculo ha un’idea innata del conspecifico. Vedete quanto sia importante tenere separate determinate cose, ad esempio l’imprinting filiale separato dall’imprinting sessuale. Per esempio, nei Galliformi o negli Anatidi questa differenza non è tanto marcata: lo ha dimostrato sempre Lorenz, che si è ritrovato con un’oca che, una volta adulta, insisteva per accoppiarsi con lui, mostrando così di avere un’idea falsata di cosa fosse un conspecifico. Se anche i cuculi avessero questa stessa caratteristica, assisteremmo a una grandissima promiscuità nel mondo degli uccelli, e invece hanno un’idea di conspecifico assolutamente innata, così come come le vedove paradisee che fanno le uova nei nidi di altri uccelli (estrildidi).

Arriviamo ora ai mammiferi, animali in cui ci riconosciamo. Quando parliamo di antropomorfismo, invito sempre a fare attenzione perché talvolta questa parola è sbagliata: esiste, sì, un antropomorfismo banale, con cui si attruiscono i comportamenti, la comunicazione, la percezione, le motivazioni di un soggetto di un’altra specie: pretendere, abbracciando un cane, che lui capisca che che gli vogliamo tanto bene è un esempio. Ma quando parlo dell’amore di una femmina per i propri cuccioli, quando parlo di corteggiamento, di innamoramento, di divertirsi giocando, quando parlo di passioni, non sto antropomorfizzando perché questi sono comportamenti comuni che noi abbiamo preso dai mammiferi, sono comportamenti dei mammiferi, non dell’essere umano, quindi non c’è antropomorfizzazione. Spesso si è convinti che, per evitare di antropomorfizzare, occorra pensare che gli animali sono degli orologi, che avanzano tramite meccanismi, che si muovono come pere che cascano da un albero: si è convinti che questo sia “pensare scientifico”. Se dico che un animale è in amore, mi rispondono che antropomorfizzo, come se noi fossimo che cosa? Quando smetteremo di mangiare, evacuare e respirare, quando, uscendo all’aria aperta, inizieremo a fare fotosintesi clorofilliana, allora potremo dirci non mammiferi, ma fino a quel momento non siamo altro che animali e in quanto tali abbiamo le caratteristiche comuni a tutti i mammiferi.

I mammiferi sono molto differenti tra loro. Pensate ai monotremi, quegli strani animali che sono l’echidna e l’ornitorinco: hanno il becco e una cloaca unica come gli uccelli, ma sono mammiferi, “portatore di mammelle”, e anche se non ha dei veri e propri capezzoli, ma dei forellini, ugualmente la strategia di base è sempre a stessa, la via del latte. Il latte è il principio fondamentale dei mammiferi, latte che è molto diverso tra le varie specie: i cetacei hanno un latte grassissimo, altre hanno un latte estremamente diluito, tipico delle specie in cui la madre è sempre presente e l’allattamento è continuo. Abbiamo poi vari modi per proteggere i piccoli: ci sono animali che tengono i cuccioli dentro a un nido, quelli che tengono i cuccioli un po’ nascosti (hider species) , quelli che se li tengono sempre addosso, tra cui i primati, (carrying species) e poi ci sono le specie dove semplicemente il cucciolo segue la mamma, come negli Artiodattili. Quali sono le caratteristiche? Innanzitutto dobbiamo dire che tutta la fase delle cure parentali è giocata sull’epimelesi, che è il piacere di prendersi cura, il piacere di adottare, di accudire. Quando un soggetto è sensibile al richiamo et-epimeletico adotta qualunque cosa. Molti sono convinti che l’altruismo possa esprimersi solo verso soggetti che abbiano un grado di parentela alta con chi esprime tale comportamento. In realtà non è così, quando rispondiamo al richiamo et-epimeletico non ci chiediamo “che grado di parentela ho io con questo animale?”, dato che, se così fosse, non avremmo le adozioni traspecifiche, non avremmo avuto il processo di domesticazione, che, come abbiamo visto, si basa sul maternaggio, sull’allattamento al seno dei piccoli di un’altra specie. Il movente è sempre il principio di piacere: quando il soggetto è innamorato dell’essere cucciolo, a quel punto prova piacere a dare cure parentali, cioè trova quello che viene definito appagamento che è la cosa più importante. Ne parlo sempre anche ai corsi quando parliamo del rapporto col cane: dico sempre che la cosa più importante non è la gratificazione, non è il bocconcino, non il riportello o qualunque cosa diamo al cane, ma il suo appagamento, cioè il poter esprimerne ciò da cui è coinvolto, ciò per cui è appassionato e che produce quello stato di equilibrio che in spagnolo e portoghese si definisce “apagado”, cioè spento, sazio. Si tratta di questo, della sazietà, l’animale deve raggiungere questa sazietà. Il piacere è nel prendersi cura, se parliamo di epimelesi, nel rincorrere, se parliamo di predatorio. Non nel cacciare, ma nel rincorrere. Questo è il principio. A un gatto possiamo dare tutto il cibo che vogliamo, ma non sazieremo la sua voglia di rincorrere, perché è slegata, è un’altra cosa.

Quando un animale può esercitare quella che è la sua predisposizione, quello che è il suo coinvolgimento, quello che è il suo amore (usiamo la parola giusta!), quando dico che l’animale è un essere desiderante, questo è un discorso che va al di là della razionalità. Non diamo tanta importanza alla razionalità. Quello che spesso mi preoccupa nell’approccio cognitivo è il dare troppa importanza alla consapevolezza, alla coscienza, alla razionalità. È stato e rimane un passaggio importante, io farei un monumento a Donald Griffin, colui che ha aperto la strada all’etologia cognitiva, e prima di lui ai behavioristi che hanno tradito il behaviorismo come Tolman, o i gestaltiani, a tutti quelli che hanno iniziato a dire che i conti non tornavano quando si pensava all’animale solo come a un meccanismo stimolo-risposta. Ma ciò che vorrei evitare è l’altra deriva di pensare che tutte le volte che un animale, umano e non umano, fa qualcosa, la fa perché ha ponderato razionalmente e consapevolmente. La vita è prima di tutto desiderio e questo desiderio è fondamentale. Non riusciamo a capire l’animalità se non accettiamo questo principio di desiderio, che secondo me già Freud aveva capito, anche se ne aveva dato una visione troppo focalizzata su alcuni aspetti.

Riferendomi ancora all’etologia di Lorenz, prima ancora che la trasformassero in psicoenergetica, il punto fondamentale è proprio questa passione. Essere animale significa desiderare, con un corpo che non è sufficiente a se stesso, che ha bisogno di proiettarsi, di coniugarsi, questo corpo che è una grande copula, che ha bisogno di attaccarsi a qualche cosa per poter essere. Le cure parentali sono l’espressione più bella, più forte di questo essere in relazione, di questo essere copula, e nei mammiferi vediamo tantissime varianti: dai marsupiali che producono embrioni, che a loro volta risalgono nel marsupio ma non sono in grado di succhiare, in quanto embrioni, pertanto il latte viene spinto forzosamente dalla madre, che per fare questo possiede muscoli potentissimi. La stessa cosa succede anche nei cetacei, il cui latte letteralmente zampilla, poiché i cetacei allattano in acqua. Pensiamo ai canguri, che hanno una strategia incredibile: arrivato a una certa maturità, il piccolo esce dal marsupio ma si mantiene vicino alla mamma e ogni tanto mette la testa dentro per prendere un po’ di latte. Nel frattempo la mamma ha già prodotto un secondo embrione e, in più, ha un ovulo fecondato che si sta sviluppando, quindi ha tre figli contemporaneamente.

Vedete, dunque, la varietà delle strategie, la bellezza della multiformità della natura. Questo è il punto: perché voler standardizzare, omologare? Questo è un mondo bello perché presenta infinite varietà, perché presenta una pluralità straordinaria e non basta una vita per conoscerla tutta. Iniziamo ad amare questa diversità, questo è il principio fondamentale, sosteniamo un’educazione che sappia entusiasmare, che sappia appassionare i nostri bambini a questa varietà, a questa multiformità del mondo.

Clicca qui per guardare il video della conferenza.

Immagine di copertina: Foto © JOEL SARTORE, NATIONAL GEOGRAPHIC PHOTO ARK

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