Un filo diretto con l'etologia cognitiva e relazionale

Filosofo, etologo e zooantropologo.
Da oltre vent’anni conduce una ricerca interdisciplinare volta a ridefinire il ruolo degli animali non umani nella nostra società.
Direttore del Centro Studi Filosofia Postumanista e della Scuola di interazione uomo-animale (Siua), è autore di oltre un centinaio di pubblicazioni nel campo della bioetica animale, delle scienze cognitive e della filosofia post-human.
È inoltre direttore della rivista “Animal Studies”, la Rivista Italiana di Zooantropologia (Apeiron).

L’invasività dell’uomo costringe gli altri animali a diventare notturni

L’invasività dell’uomo costringe a diventare notturni

di Roberto Marchesini

Man mano che l’essere umano sempre più si espande negli habitat selvatici, molte specie stanno mostrano di adattarsi alla sua invasione scegliendo non di spostarsi, ma di iniziare a vivere di notte. Questa la conclusione a cui è giunto un nuovo studio che mostra che una quantità di specie diurne come volpi, cervi e cinghiali stanno diventando notturni per evitare il rischio di avvicinarsi all’uomo. Queste nuove abitudini portano ovviamente altri rischi.

I ricercatori hanno analizzato 76 studi inerenti 62 specie di mammiferi su sei continenti che, dall’opossum all’elefante, hanno cambiato i loro comportamenti in risposta alle attività umane quali caccia, agricoltura, urbanizzazione e industrializzazione. Per seguire gli animali nei loro movimenti sono state utilizzate tecnologie diverse, dai tracciatori GPS alle fotocamere con sensori di movimento.

Al sopraggiungere della notte, gli animali erano diventati più attivi rispetto a prima dell’arrivo dell’uomo, uscendo allo scoperto per cacciare e foraggiarsi con il buio. Per esempio, le specie che erano solite distribuire uniformemente le loro attività lungo il dì e la notte hanno mostrato un incremento delle attività notturne del 68%.

I ricercatori hanno anche rilevato che gli animali rispondevano in modo simile qualunque fosse la tipologia dell’attività antropica invadente, a prescindere che l’attività li riguardasse direttamente o meno. Così, in una certa area, i cervi diventavano più attivi di notte anche perché il loro habitat era diventato zona di esursionismo da parte degli esseri umani, e non solo perché su quel territorio venivano cacciati.

Si ipotizza che questi comportamenti notturni consentiranno a umani e non umani di coabitare più pacificamente. Inoltre tali nuove abitudini potrebbero fornire indizi utili per progettare piani di conservazione più efficaci, per esempio imponendo restrizioni alle attività umane durante i periodi di maggiore attività di determinate specie.

Tuttavia, muoversi di notte comporta altri rischi. Uno stile di vita notturno diminuisce le probabilità di cacciare e di foraggiarsi con successo e può ripercuotersi sulla possibilità di trovare una compagna/un compagno per la riproduzione; diventare più attivi di notte può influenzare i pattern naturali di vita, anche se gli animali scelgono di farlo con l’intenzione di evitare l’uomo.

In fin dei conti, un incremento delle attività notturne, se da un lato ottiene il successo immediato di evitare o ridurre le interazioni con l’invasore uomo, dall’altro non garantisce la certezza di sopravvivenza all’invasione di ogni habitat da parte degli esseri umani.

Fonte: sciencemag.org, Science/The influence of human disturbance on wildlife nocturnalityScience/The influence of human disturbance on wildlife nocturnality

Immagine di copertina: Laurent Geslin/Minden Pictures

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