Un filo diretto con l'etologia cognitiva e relazionale

Filosofo, etologo e zooantropologo.
Da oltre vent’anni conduce una ricerca interdisciplinare volta a ridefinire il ruolo degli animali non umani nella nostra società.
Direttore del Centro Studi Filosofia Postumanista e della Scuola di interazione uomo-animale (Siua), è autore di oltre un centinaio di pubblicazioni nel campo della bioetica animale, delle scienze cognitive e della filosofia post-human.
È inoltre direttore della rivista “Animal Studies”, la Rivista Italiana di Zooantropologia (Apeiron).

La relazione come gratificazione

relazione come gratificazione
Immagine di copertina: Ozzie, uno dei cani che hanno preso parte all’esperimento, addestrati a rimanere immobili e vigili sul carrello della macchina per fMRI, foto © Gregory Berns | eScienceCommons

Nel 2016, uno studio della Emory University di Atlanta (Stati Uniti) ha evidenziato che la maggior parte dei cani si sente più gratificata dai cenni di approvazione del proprietario che dal ricevere cibo.

Studi come questo cercano di spiegare la psicologia del comportamento tramite riscontri numerici e quantificazioni in termini di prevedibilità, di misurare ciò che l’etologia ha già dimostrato: il behaviorismo non dà una risposta esaustiva, la teoria della causa e dell’effetto, dello stimolo e del comportamento conseguente, non è sufficiente a spiegare la scelta di una data risposta comportamentale.
Dunque, qual è il movente che porta il cane a scegliere una strada piuttosto che un’altra?

Dire che il premio in cibo equivale al denaro con cui si ripaga un lavoro non è esatto, o, almeno, non è sempre così. Occorre individuare quale motivazione andiamo ad accendere quando chiediamo qualcosa al cane, poiché la motivazione è il motore comportamentale.

Per capire bene questo discorso dobbiamo comprendere che il cane non è mai fruitore passivo dell’azione del proprietario: il cane non è una scatola vuota che nel qui e ora viene attivata da un bocconcino che, usato come carburante, mette in moto un corpo altrimenti inanimato.
La parola chiave per capire il cane è collaborazione. Il cane collabora, sempre, anche quando sta seduto ad aspettare che noi facciamo qualcosa, dato che il cane utilizza l’obbedienza come strumento per l’azione concertata e non come fine in sé.

Se non avessimo bisogno di insegnare al cane il valore che per noi hanno certi suoi comportamenti piuttosto che altri (quei comportamenti che noi premiamo e che il cane impara a ripetere), non ci sarebbe bisogno di una pedagogia: basterebbe immergere ogni cane in età evolutiva in circostanze coerenti e ripetute per avere sempre gli stessi medesimi risultati con tutti i cani. Ammesso di potere ricreare circostanze ad hoc, potremo essere certi di ottenere solo e soltanto i risultati che desideriamo. Ma sappiamo che non è così.

relazione come gratificazione
Foto pxhere.com

Sappiamo che ogni cane risponderà in maniera differente, con tempi differenti, con modalità differenti. Perché? Perché alcuni cani si focalizzano immediatamente sul proprietario nel momento in cui questi rivolge loro anche soltanto lo sguardo, mentre altri sembrano assolutamente “distratti” e attratti da qualunque stimolo proveniente dall’ambiente circostante?

Ogni cane è un soggetto a se stante, e fino a qui siamo tutti d’accordo. Ma questa considerazione ha delle conseguenze che devono essere comprese: a parità di comportamento che io voglio suscitare in cani diversi, dovrò per ciascuno di loro trovare l’aggancio adeguato per portarlo sulla mia strada e fargli capire ciò che desidero da lui. Devo imparare a ingaggiare il cane modulando la mia richiesta sulle sue motivazioni prevalenti: se un cane è più focalizzato sulla persona, dovrò muovermi in un certo modo. Se è più centrifugato e tende a ignorare la persona, dovrò muovermi in un altro.

Dovrò cercare strategie diverse, e dovrò essere importante per il mio cane: se pretendo di ottenere qualcosa da lui, occorre che per lui la mia persona abbia un valore. Se la persona non è accreditata, la sua richiesta non avrà valore per il cane.
Ora, il fatto che lo studio americano abbia rilevato che la maggior parte dei cani dia più valore alla persona che al cibo sta a dimostrare quanto il cane si senta naturalmente investito di un ruolo all’interno del branco cane-uomo: non occorre che io insegni al cane che cosa sia la convivenza, poiché il cane è già predisposto dalle sue motivazioni di specie ad essere totalmente collaborativo e a “fare insieme”.

Laddove il proprietario si mostri un partner coerente e affidabile, degno di accreditamento (qualità fondamentali perché il cane si senta al sicuro all’interno del branco), il cane sarà naturalmente portato a seguirlo e a preferirlo a qualunque bocconcino.
Laddove il proprietario abbia imparato a comunicare in modo chiaro, corretto, e adeguato alle diverse situazioni, sviluppando buona conoscenza di movimento, postura del corpo e gestione dello spazio rispetto al cane, la sua persona avrà acquisito quel valore tale da accreditare agli occhi del cane qualunque segnale verbale di approvazione rivolgerà nei confronti di quest’ultimo, che risulterà molto più gratificante di un qualunque bocconcino: la gratificazione verbale diventa un momento di comunicazione relazionale. Chi di noi pianterebbe in asso un amico con cui stiamo avendo una piacevole conversazione per andare a comprare un sacchetto di patatine? Sarebbe quanto meno irrispettoso.

relazione come gratificazione
Foto Pixabay CC

Per spiegare quella minoranza di cani che ha esibito una preferenza per il cibo piuttosto che per le parole di approvazione del proprietario, mi sento di ipotizzare che, in certi casi, si deleghi al bocconcino lo sforzo della relazione: il cibo diventa un’esca per qualunque tipo di richiesta. Ma, ancora una volta, attenzione, perché focalizzando tutto sul cibo, si rischiano due derive: da un lato, si rischia che il cane enfatizzi enormemente la sua motivazione di richiesta di cibo cadendo in una fissità comportamentale che lo relega a ruolo di cucciolo, cosa che può avere conseguenze problematiche nei profili più timorosi e diffidenti. Dall’altro, il rischio è di non acquisire valore agli occhi del cane, in tal caso cane e proprietario perderanno fiducia l’uno nei confronti dell’altro e la conseguenza sarà l’impossibilità di gestire la relazione per assenza di comunicazione. Come se pretendessimo una risposta coerente a una nostra domanda da una persona che non comprendesse la nostra lingua.

Dunque, è da ritenersi positivo che la quantificazione sperimentale supporti l’osservazione etologica.
È da ritenersi positivo che la quantificazione sperimentale confermi quegli indizi che ci dicono che il cane si immerge totalmente e con tutto se stesso all’interno del suo branco interspecifico: questi studi potranno forse aiutare a prevenire tutti quei maltrattamenti, anche gravi, dovuti al non rispetto delle motivazioni del cane e che troppo spesso diventano lo sfogo delle frustrazioni di un proprietario che del proprio cane non ha capito nulla.

Immagine di copertina: Ozzie, uno dei cani che hanno preso parte all’esperimento, addestrati a rimanere immobili e vigili sul carrello della macchina per fMRI, foto © Gregory Berns

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