Un filo diretto con l'etologia cognitiva e relazionale

Filosofo, etologo e zooantropologo.
Da oltre vent’anni conduce una ricerca interdisciplinare volta a ridefinire il ruolo degli animali non umani nella nostra società.
Direttore del Centro Studi Filosofia Postumanista e della Scuola di interazione uomo-animale (Siua), è autore di oltre un centinaio di pubblicazioni nel campo della bioetica animale, delle scienze cognitive e della filosofia post-human.
È inoltre direttore della rivista “Animal Studies”, la Rivista Italiana di Zooantropologia (Apeiron).

Una relazione implica sempre responsabilità

Young happy family enjoying with their golden retriever at home.

di Roberto Marchesini

Si parla molto oggigiorno di relazione ma, come in ogni situazione di abuso di un termine, si viene a perdere il significato corretto di questa parola. Innanzitutto, possiamo affermare d’essere in una condizione di relazione quando l’altro viene considerato un soggetto e non un oggetto. Qui il rischio è molto comune, quando si considera il cane una macchinetta o un peluche, a causa della nostra sempre maggiore consuetudine con cose ed elettrodomestici. Le macchine ormai circondano la nostra vita e fare confusione è sempre più facile. Semplificando, possiamo dire che non siamo in relazione con il computer o il cellulare, ma semmai con altre persone attraverso questi strumenti. Questo significa che la prima ipoteca alla costruzione di una relazione sia la strumentalizzazione dell’altro, il che non significa che non si possano anche avere prestazioni da lui, ma che queste s’inseriscono su un piano di collaborazione.

La seconda ipoteca alla piena realizzazione della relazione è data dalla mancanza di considerazione o accettazione della diversità dell’altro. Anche in questo caso straparliamo di diversità e di tolleranza ma, di fatto, siamo sempre più chiusi in noi stessi e pretendiamo che l’intero universo che ci circonda sia fatto a nostra immagine e somiglianza. Quando, per esempio, pretendo che il cane sia il mio bambino, non sono propriamente in relazione con lui, ma con i miei desideri, bisogni o aspettative che a dir si voglia. In altre parole, il cane funge da specchio più che da alterità e la persona non è interessata a costruire un vero e proprio rapporto. Di certo, tale atteggiamento produce forme insidiose di maltrattamento, perché un cane ha il diritto di essere trattato secondo la propria natura, ma non è di questo che voglio parlare. In questa situazione non c’è una relazione perché l’interazione è unidirezionale.

Una relazione è tale se presenta, pertanto, il carattere di reciprocità, cioè quella bidirezionalità d’incontro e confronto che consente ai due termini del rapporto di riconoscersi vicendevolmente. Si tratta, quindi, di un momento di scambio dove gli interlocutori accettano la loro diversità e sono interessati a questa. La reciprocità è una qualità imprescindibile della relazione che, però, non va confusa con la simmetria del rapporto. A dir il vero, la maggior parte delle relazioni sono asimmetriche, il che significa che per certi aspetti uno dà di più ed è così anche per l’altro, solo che cambia il tipo di donazione. Per esempio, un cane dà al suo compagno umano una quantità d’affetto e di presenza che per quanto la persona si sforzi non sarà mai in grado di ricambiare. Allo stesso tempo l’essere umano è chiamato a una responsabilità di accudimento altrettanto incomparabile.

Una relazione chiede, quindi, reciprocità ma non necessariamente simmetria: questa è una considerazione importante, perché talvolta trovo convivenze tra l’essere umano e il cane che mancano di reciprocità e aspirano alla simmetria, creando situazioni assurde, perché una relazione implica sempre una responsabilità e quanto è maggiore l’asimmetria tanto più è la responsabilità che implica. Vorrei rimarcare questo aspetto, perché sovente si pretende un rapporto alla pari tra termini che, viceversa, non possono e non devono averlo, come tra un datore di lavoro e un dipendente, tra un genitore e un figlio, tra una persona e un cane. In questi casi si tratta di snaturare il rapporto, confondendo la reciprocità, che è alla base di ogni relazione, con la pretesa di un rapporto alla pari che porta a un deficit di responsabilità.

Questo sbaglio sorge da diversi aspetti, non solo a causa di una generale caduta dei ruoli nelle nostre società e dall’utopia delle simmetrie dei rapporti, ma soprattutto dalla liquefazione delle sistemiche sociali, un processo stigmatizzato da diversi autori. In effetti, la società dei consumi si basa su un’incentivazione dell’individualismo, con derive narcisistiche sempre più rilevanti, perché coerente con una tendenza bulimica della persona che, insoddisfatta, è portata a cercare nelle cose ciò che le viene sottratto in termini di relazione. La relazione è, perciò, fuori moda in una società che spaccia a piene mani oggetti di seduzione e spinge sul significato esclusivamente edonistico della vita. Questa deriva sta colpendo tutte le relazioni, che siano d’amore, d’amicizia, professionali e quant’altro. E il rapporto con il cane non è da meno anzi, rischia di essere quello che più di altri si presta all’adulterazione.

D’altro canto, è indubbio che avere un cane significhi prendersi cura dei suoi bisogni, portarlo dal veterinario, vigilare sulle sue difficoltà, com’è innegabile che comporti responsabilità di tipo civico, per esempio il raccogliere le sue deiezioni, e civili, nell’evitare che possa assumere comportamenti pericolosi nei confronti del prossimo. A essere sincero, non mi pare che questa consapevolezza sia così diffusa. Se il mio cane finisce sotto un’automobile, perché io non ho preso le necessarie precauzioni di condotta al guinzaglio, vuol dire che ho mancato in modo grave, così come se il mio cane aggredisce un altro cane o una persona. Ho una responsabilità di custodia, per cui è inaccettabile che il cane esca dal cancello e metta a repentaglio la vita di un passante. Ho una responsabilità all’interno della dimensione domestica, perché è altrettanto inaccettabile che il cane morda il figlio o un amico che ci viene a trovare, come peraltro ho una responsabilità altrettanto corposa rispetto al rischio d’incidenti domestici. In una parola: spesso il cosiddetto rapporto alla pari nasconde forme inaccettabili di scarico di responsabilità. Ma anche questo vuol dire non essere in relazione!

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