Un filo diretto con l'etologia cognitiva e relazionale

Filosofo, etologo e zooantropologo.
Da oltre vent’anni conduce una ricerca interdisciplinare volta a ridefinire il ruolo degli animali non umani nella nostra società.
Direttore del Centro Studi Filosofia Postumanista e della Scuola di interazione uomo-animale (Siua), è autore di oltre un centinaio di pubblicazioni nel campo della bioetica animale, delle scienze cognitive e della filosofia post-human.
È inoltre direttore della rivista “Animal Studies”, la Rivista Italiana di Zooantropologia (Apeiron).

La sottovalutazione del rischio in cinofilia

Stylish guy playing with a dog. Man in autumn city.

di Roberto Marchesini

La cultura urbana

Come qualunque educatore cinofilo ben sa, il tempo della consulenza viene speso in grande misura soprattutto nell’opera di educazione della persona, ancor prima che del cane. I motivi sono innumerevoli: in parte collegabili alla cultura urbana, che ha ormai preso le distanze dalla natura e che pertanto tende a umanizzare qualunque cosa, comprese le macchine, dall’altra a una forte decadenza del significato stesso delle relazioni, che tende a omologare ogni rapporto, per cui si perde la specificità di ciascun legame: si vuole che un padre diventi un amico, un collega di lavoro un partner, un cane un figlio.  Spesso, perciò, si adotta il cane come sostituto di qualcos’altro. Detto questo, è altresì evidente che anche il concetto di “pet”, con tutta la banalizzazione che si porta dietro, abbia contribuito alla noncuranza con cui oggi si affronta il rapporto con il cane.

Il ruolo degli animali

Inutile dire che l’educatore si trovi, così, a dover illustrare prassi che dovrebbero essere consolidate, il più delle volte per spiegare che i bisogni del cane e la sua prospettiva comportamentale presenta delle peculiarità di cui bisogna tener conto. Difatti, se ritieni il cane un eterno bambino, non ti porrai il problema di riflettere sul suo modo di entrare nelle dinamiche sociali, seguendo la sua indole di specie, che lo porterebbe ad assumere un ruolo all’interno del gruppo nonché ad attribuirlo ai suoi conviventi, in una logica di organizzazione operativa di squadra. Spiegare l’importanza di attivare un’affiliazione basata sul fare delle attività insieme, smettendola di pensare che il legame sia solo di tipo affettivo, così come rimarcare la necessità di assumere il ruolo di guida e di favorire l’accreditamento da parte del cane, sono principi non sempre facili da far accettare.

Le dinamiche familiari

A ciò si aggiunga il fatto che anche le famiglie stanno vivendo una profonda crisi, a causa dell’individualismo narcisista delle persone. Questo significa che l’educatore spesso si trovi coinvolto all’interno di dinamiche familiari complesse da cui è difficile uscire e che provocano in lui una condizione di burnout professionale. Senza dimenticare che questi contrasti contrastano con la compliance, quando per esempio i comportamenti rivolti al cane presentano forti incoerenze da parte dei diversi membri della famiglia. Ancora una volta questo è in buona parte riconducibile alla banalizzazione del rapporto con il cane, legato all’infantilizzazione e all’immagine buonista implicita nel concetto di pet. Pensare positivo è sicuramente un bene, ma non si deve esagerare, ritenendo che ogni cosa andrà spontaneamente nel posto giusto. Questa visione determina una sottovalutazione dei rischi, un atteggiamento che rappresenta l’anticamera dei problemi.

Prevenire i problemi

Quando, poi, succede un incidente, senti le persone che si meravigliano, perché mai avrebbero pensato che il proprio cane reagisse in quel modo o si comportasse così. Questo è un esempio lampante della sottovalutazione del rischio che nasce da una visione totalmente sbagliata del cane, legata all’antropomorfizzazione e alla tendenza a zuccherare in modo eccessivo la tazzina di questo rapporto. Le persone devono, cioè, avere piena consapevolezza di vivere con un cane, che indubbiamente presenta delle qualità fantastiche, spesso di gran lunga più affidabili delle persone, ma che comunque non sono paragonabili a quelle umane. Il cane non può ragionare esattamente come noi. Le sue reazioni sono differenti, i suoi orientamenti lo sono, i suoi principi sociali non sono sovrapponibili ai nostri, la sua prospettiva nel suo complesso è diversa.

La componente di rischio

La sottovalutazione del rischio investe parecchi aspetti. Il primo riguarda la gestione in casa, che dev’essere svolta avendo cura dei suoi bisogni, ma altresì favorendo quell’accreditamento che fa sì che il cane si affidi a noi. A questo si deve aggiungere la corretta conduzione nei luoghi pubblici attraverso il guinzaglio, perché è un attimo che il cane vada in strada, si avvicini a una persona col cane al guinzaglio, reagisca in malo modo a una persona che lo avvicina. Quando poi si va in luoghi particolari, dove gli spazi sono ridotti, come per esempio i mezzi pubblici, è indispensabile portare con sé la museruola e in ogni caso farla indossare al cane se è necessario. Parliamo poi di custodia, perché anche questo è un aspetto non secondario, visto che non è accettabile che i cani escano da un cancello aggredendo il primo che passa o che egli stesso venga smarrito.

La cultura della prevenzione

Oggi sempre di più le persone hanno cani e anche questa moda mi fa suonare dei campanelli d’allarme, ma non è questo il punto. Quello che mi preoccupa è che le persone sono sempre più impreparate a questo rapporto e spesso prendono cani che non conoscono nelle loro caratteristiche di razza o di storia e non sono in grado di gestirli. Se a questo si aggiunge un progressivo lassismo nella gestione, conduzione e custodia, è evidente che i problemi andranno ad aumentare in modo estremamente drammatico. La raccomandazione, allora, che faccio a tutti coloro che rappresentano un presidio, perché allevatori, educatori, gestori di canili, addestratori, medici veterinari, istruttori e via dicendo, è di farsi parte diligente di una cultura della prevenzione.

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