
di Roberto Marchesini
Biodiversità, diversità biologica: parola inflazionata e del tutto priva di contenuti culturali di massa.
Sta ad indicare la vita sulla Terra nell’insieme di tutte le sue forme e interazioni. In poche parole, niente biodiversità, niente futuro per la specie umana.
La biodiversità include differenti livelli di mondo, partendo dal patrimonio genetico, arrivando alle singole specie, alle comunità e infine agli ecosistemi, come le foreste e le scogliere coralline. Tutta questa miriade di interazioni ha reso la Terra abitabile per milioni di anni.
In questi giorni, il WWF ha pubblicato il rapporto biennale sullo stato del pianeta Terra, il Living Planet Report 2018, e i dati sono, come è intuibile, deprimenti. Nient’altro che un peggioramento della situazione già ampiamente descritta nel rapporto di due anni fa.
Il resoconto documenta lo stato del pianeta prendendo in considerazione biodiversità, ecosistemi e pressione sulle risorse naturali e come tutto ciò leghi a doppio filo la mutua sopravvivenza di specie umana e la natura. Siamo sull’orlo del precipizio e stavolta il rapporto suona come un ultimatum.
Dal 1970 al 2014, mammiferi, uccelli, pesci rettili e anfibi sono diminuiti del 60%.
Negli ultimi trent’anni, la Terra ha perso metà della popolazione corallina.
In 50 anni è scomparso un quinto della foresta amazzonica.
La natura fornisce un servizio monetizzabile del valore annuale stimato in 125 trilioni (trilioni!) di dollari statunitensi, e, in più, assicura forniture di aria fresca, acqua pulita, cibo, energia, farmaci e molto altro.
Dobbiamo invertire la rotta, e quanto tempo abbiamo per farlo?
Le minacce principali alle specie viventi provengono direttamente dalle attività umane e si definiscono in perdita di habitat, degradazione ed eccessivo sfruttamento di natura in termini di eccesso di pesca e di caccia.
Il rapporto fornisce un quadro significativo dell’impatto che le attività antropiche hanno sulla natura nel suo insieme – foreste, oceani fiumi e clima. Le possibilità di rimediare sono sempre più ridotte ed è urgente la necessità di ripensare e ridefinire i modi in cui vogliamo proteggere e conservare la natura.
Quei sistemi naturali essenziali alla nostra sopravvivenza – foreste, oceani, fiumi – sono sempre più degradati. Le forme di vita su tutto il globo continuano a ridursi. È tempo di adeguare i nostri consumi ai bisogni della natura e proteggere il pianeta, nostra unica casa.
Dobbiamo frenare la distruzione della natura, contrastare la perdita di natura. La sfida, e opportunità, più grande consisterà nel cambiare il nostro approccio al concetto di “sviluppo” e ricordare che proteggere la natura significa proteggere le persone.
Abbiamo gli strumenti e i dati per prendere decisioni informate e consapevoli. Gli scienziati conservazionisti possono oggi simulare matematicamente l’impatto futuro delle nostre azioni per mitigarne le minacce alla biodiversità (per esempio, per attuare cambiamenti nello sfruttamento del suolo) e predirne l’influenza sulla traiettoria degli indicatori di biodiversità come il Living Planet Index (LPI), basato sui trend osservati presso un vasto numero di specie di vertebrati scelte su tutto il globo (poiché i vertebrati sono tra i meglio conosciuti fra i taxa animali). Dato che il 2020 sarà l’anno conclusivo dell’Aichi Biodiversity Targets definito dal Piano Strategico per la Biodiversità 2011-2020, i prossimi due anni ci daranno l’opportunità di definire un’agenda e individuare degli obiettivi per contrastare le pressioni sul pianeta. Avendo identificato le minacce alla sopravvivenza della natura, la comunità scientifica quali direzioni dovrebbe proporre per ridurre il tasso di declino della biodiversità?
A ben vedere, le proposte del suddetto Piano sono le stesse da 50 anni, solo si fanno sempre più urgenti: ridurre le pressioni dirette sulla biodiversità promuovendone un utilizzo sostenibile (“sostenibile” per chi?); promuovere l’attuale stato di biodiversità attraverso la salvaguardia degli ecosistemi, delle specie e della diversità genetica; accrescere i benefici per tutta la comunità grazie al riconoscimento dei servizi forniti dalla protezione della biodiversità e degli ecosistemi; migliorare l’attuazione attraverso la pianificazione partecipativa, il coinvolgimento delle popolazioni e delle comunità locali a tutti i livelli pertinenti, la condivisione della conoscenza e la mobilitazione di risorse finanziarie per attuare il suddetto piano nel coinvolgimento dei singoli Stati.
Occorre una politica intelligente, colta, empatica, attuata per il bene comune sul lungo termine con approccio scientifico.
Ma una politica del genere faticosamente potrà vedere riconosciuto un ruolo sul palcoscenico dei narcisisti autoriferiti, vanagloriosi e avidamente miopi che attualmente governano il timone del cosiddetto Mondo Occidentale.
Fonti: worldwildlife.org, theguardian.com