
di Nicola Gianini
Pochi cantautori hanno saputo scrivere un così alto numero di canzoni di successo come Claudio Baglioni: potrebbe essere una nota di merito (e in parte lo è senz’altro), senonché il successo del cantautore romano lo ha troppo spesso incatenato all’idea del cantore dell’amore adolescenziale. Uno dei limiti di questo successo è stato quello di aver messo in ombra, nonostante gli sforzi dello stesso Baglioni, un repertorio tutt’altro che riducibile al sentimentalismo, e semmai capace di illuminare territori poco battuti.
Nel 1990 pubblica un doppio album dal titolo sibillino Oltre, in cui il cantautore romano dà prova di notevoli capacità compositive, andando a rispolverare tecniche solitamente relegate ad ambiti musicali considerati più colti. Molti critici, a distanza di anni, hanno riconosciuto a questo album un significato centrale nella storia compositiva di Baglioni, ma pochi si sono accorti di un ulteriore elemento peculiare: la notevole presenza di animali. Si contano, citati in svariati modi, una cinquantina di riferimenti proprio a questi nostri “compagni di mondo”. Acciughe, pesci, falchi, vermi, colombe, draghi, serpenti, conigli, talpe, cani, cavalli gironzolano liberamente tra i brani di questo concept album.
E l’aspetto veramente interessante da notare è come gli animali, in alcuni casi, non siano riducibili a presenze effimere, capaci tutt’al più di colorire qualche immagine, qualche metafora o qualche rima, ma si fanno presenza propulsiva e profonda.
Penso, in particolare, a Io lui e la cana femmina e alla Piana dei cavalli bradi, dove cani e cavalli sono lì per raccontarci cose molto serie.
La prima delle due racconta di un’improbabile lei («Lei è un taccagna culona invadente / rumorosa indolente pallosa civetta esagerata / benedetta è sempre stata vergine») e di uno strampalato lui («Lui è un arcano signorino taciturno angoloso / un po’ fregnone incazzoso, barone bulletto sniffatore / benedetto e soffre il mal di macchina»): due tipi loschi, verrebbe da pensare, e apparentemente due soggetti poco raccomandabili. Qualche giornalista si è addirittura lanciato in analisi sociologiche interpretando questo brano come una feroce critica al degrado culturale italiano di quegli anni. Ma è proprio il caso di dire che ha preso lucciole per lanterne.
In realtà niente di tutto questo: quel lui e quella lei altro non sono che i due cani di Baglioni intenti a passeggiare («Quanti bastoni sassi volati in aria e dentro gli occhi / pronti via») con lo stesso cantautore, in modo scanzonato («rincorse alleprate» suggerisce) nelle strade notturne (probabilmente) di Roma. Nei versi successivi (N.d.A. la parola versi è, secondo i dettami dello stesso Baglioni, da prendere alla lettera: “la canzone”, ci suggerisce infatti l’autore, “la si può anche abbaiare, non c’è nulla di male”), il cantante entra finalmente in scena«Ce ne andiamo a spasso / felici nella coda / il cuore suona da contrabbasso / e andiamo con la vita addosso / e addosso a questa vita / come a un osso / da rosicchiare».
L’espediente che è proposto in questa canzone è di fatto molto semplice: raccontare i cani come se fossero umani (giocando sul fatto che con i pronomi “lui” e “lei” solitamente ci si riferisce a dei soggetti umani) e descrivere sé stesso come se fosse un cane (sarebbe meglio camminare carponi). L’aspetto interessante in questo esperimento musicale è che il riferimento al cane non è di tipo allegorico, metaforico o astratto; a Baglioni interessa proprio il cane, nella sua diversità-somiglianza con noi umani. In altri termini è il soggetto-cane che anima la canzone, è il suo essere diverso e uguale a me a essere messo al centro dell’attenzione. Un racconto che è quindi profondamente zooantropologico e, in questo senso, innovativo. Curioso notare che anche da un punto di vista compositivo il brano propone una rappresentazione sonora dell’ibridazione strutturandosi attorno a continue melodie che vanno, per così dire, a zig zag (anche qua andando a sancire un elemento di assoluta novità nel panorama compositivo di Baglioni, più abituato e predisposto a melodie lunghe, ariose e lineari), descrivendo l’andatura un po’ strampalata dei protagonisti.
L’intuizione di Baglioni è stata semplicemente geniale, e rappresenta la vera e propria data zero della zooantropologia: raccontare il cane come se fosse un umano e raccontare l’umano come se fosse un cane. Insomma, l’identità è ibrida, contaminativa, dialogica.
Un altro brano contenuto in Oltre, che ha ben colto nel segno aspetti profondi del rapporto uomo animale, è rappresentato da La piana dei cavalli bradi, in cui questa volta si cerca una convergenza tra umani e cavalli, ma non tanto su un piano “concreto” (come proposto con Io lui e la cana femmina) quanto piuttosto morale-esistenziale. Pur essendo un animale da branco, ogni cavallo – suggerisce il brano – tiene acceso un lumicino di indomabilità, per cui ogni individuo non è riducibile all’assoggettamento della vita in gruppo e lo mostra con sussulti, slanci ribelli e inquieti: «Com’è duro essere nuovi / avere un’altra storia» suggerisce infatti il pezzo. E in questo, sembra suggerire il cantautore, sta forse una delle ragioni del grande successo dell’incontro uomo-cavallo, quando canta «e ad un certo punto andare / non dar più notizie / solo in compagnia di sé / e chiedere il permesso per essere te stesso». Un senso di ribellione non ridotto a ricetta vincente e ideologica dallo stesso Baglioni, perché in fondo, fa notare,«i cavalli origliano quest’aria di impazienza / a metà della speranza / io cambiai percorso e poi non ho più corso».
E anche in questo brano Baglioni dimostra di essere soprattutto un musicista di spessore, affidando al brano un arrangiamento in cui ogni appassionato di cavalli può ritrovare l’incedere ritmico e regolare del galoppo negli accordi arpeggiati dalla chitarra, mentre in altri momenti si può riconoscere lo scalciare indomito proposto attraverso accordi pieni sparsi e qua e là. Insomma, ogni cavallo è assoggettato al gruppo e ribelle al tempo stesso. Esattamente come ogni essere umano.
Che spasso era andarcene a spasso, terminava la canzone di Baglioni.
Passo. E chiudo.
Immagine di copertina: rockitecn.nohup.it
L’autore
Nicola Gianini
Si occupa di zooantropologia con l’Associazione Orion promuovendo progetti didattici e di analisi culturale in riferimento al valore referenziale della relazione con le alterità animali.
Intrecciando le esperienze zooantropologiche a quelle nell’ambito educativo con adolescenti problematici, è impegnato in un progetto teso a delineare i tratti di una pedagogia etologica, che consideri le nostre dotazioni di specie come vettori su cui agire nei processi riabilitativi.
È autore di Dal singolo al gruppo, Storie di ghiaccio, Un cane per maestro pubblicati presso le Edizioni Fontana
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