La maggior parte dei mammiferi è in grado di produrre espressioni facciali, componente adattativa importantissima negli etogrammi delle varie specie. L’architettura facciale che sottende alle mimiche del viso si ritrova pressoché immutata nei mammiferi, suggerendo che la mimica facciale umana sia un elemento ereditario. È dunque ragionevole ipotizzare di estendere questi sofisticati processi cognitivi anche alle altre specie.
Gli ultimi studi mostrano come le espressioni facciali dei primati non umani risultino essere influenzate dalla presenza di altri individui (è il cosiddetto effetto audience) provando che l’individuo emittente possiede la capacità di prevedere in che modo sarà interpretata la sua espressione da parte dell’individuo ricevente (Waller et al., 2015, sugli orangotanghi; Scheider et al., 2016, sui gibboni).
Un recente studio di Kaminski et al. (2017) rileva come le espressioni facciali del cane siano soggette all’effetto audience, ovvero cambino nel soggetto, unitamente alla produzione di comportamenti diversi, a seconda che sia presente o meno un interlocutore, senza che lo stimolo agente sull’arousal (in questo caso il cibo) interferisca sui comportamenti espressi.
L’esperimento preso in esame consisteva nel porre una sperimentatrice in due situazioni differenti: rivolta verso il cane e girata di spalle rispetto a lui, le due situazioni simulate con e senza proposizione di cibo (vedi foto). I cani producevano quantitativamente molte più espressioni quando la donna si rivolgeva a loro rispetto ai momenti in cui era girata di spalle. Il cibo, in quanto agente sull’arousal ma senza valenza sociale, non influenzava il comportamento dei cani.
Questo studio prova dunque che i cani sono sensibili allo stato di attenzione delle persone nei loro confronti, dimostrando che le espressioni facciali non sono involontaria manifestazioni dello stato emozionale ma tentativi attivi di comunicare con gli altri individui presenti nel contesto.
Esistevano già evidenze che i cani osservano e seguono il grado di attenzione delle persone vicino a loro, tale capacità osservativa essendo pertanto un indicatore di intenzionalità: un precedente esperimento aveva mostrato come, dopo avere ricevuto il divieto di prendere cibo, i cani tendano a rubare la risorsa più spesso quando la persona tiene gli occhi chiusi rispetto a quando li tiene aperti o volge le spalle o si mostra distratta (Xitco et al., 2004).
I cani sono ricettivi allo stato di attenzione delle persone vicino a loro anche durante le interazioni tra umani. Per esempio, tendono a seguirne maggiormente la gestualità se gli occhi della persona sono visibili e se i gesti sono diretti ai cani in modo chiaro (Moll et al., 2007). Inoltre, i cani seguono lo sguardo della persona verso un certo target solo se il contatto visivo cane-persona era già stato stabilito prima del cambiamento di focus dello sguardo (Brauer et al., 2003; Gacsi et al., 2004).
Ancora, è stata provata una correlazione negativa tra la frequenza dei movimenti facciali prodotti dai cani in canile mentre interagivano con persone estranee e la percentuale di probabilità dei cani stessi di essere successivamente adottati: maggiore è la quantità di espressioni facciali, maggiore la probabilità di attrarre un possibile adottante (Waller et al., 2013).
Un’espressione facciale ricorrente nel cane è l’inarcamento delle sopracciglia: questo movimento rende gli occhi più grandi, fattore chiave dell’attrattiva del pedomorfismo. Dunque l’ipotesi è che l’essere umano tenda a scegliere quel cane che produca in maggiore quantità quel tipo di espressione, in quanto neotenica e quindi maggiormente attraente per lui.
Poiché è plausibile che questo particolare abbia influito sulla pressione selettiva nella domesticazione del cane, si ipotizza che i cani abbiano evoluto l’abilità di differenziare le espressioni faciali a seconda dell’interlocutore.
Di conseguenza, la domesticazione avrebbe portato i cani ad un maggior controllo cognitivo della loro mimica facciale.
(trad. Roberto Marchesini)
Fonte: nature.com
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