Emancipazione dell’animalità
Stampato: 2017 – Mimesis
Pagine 189
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Liberare l’animalità non vuol dire togliere le catene al nonno babbuino, nascosto nella cantina del mio essere, o far riemergere il bruto che c’è in me, lasciandolo vagare per le strade come Mr. Hyde, o, ancora, dar libero sfogo a tutte le pulsioni senza alcun controllo e intraprendere la strada ferina.
Emancipare porta con sé il significato della liberazione di un ente da quello stato di cattività che non gli permette di esprimere in pieno le sue potenzialità. L’animalità è stata incatenata nel profondo di noi stessi, prima di tutto in virtù d’immagini distorsive assegnatele in modo arbitrario.
L’emancipazione non può pertanto che partire da una riconsiderazione dell’animalità stessa, liberandola dai legacci di tali attribuzioni indebite, rendendole finalmente la sua titolarità espressiva, lontano da quelle stilizzazioni macchiettistiche che hanno preteso sospingerla in un sottobosco ontologico. L’animalità, gettata nel cono d’ombra del non controllabile, è stata pensata come antitesi alla libertà umana, cosicché abbiamo ritenuto fosse necessario proiettarsi in una
dimensione altra, fosse trascendente nell’anima o immanente nella cultura. L’emancipazione passa perciò attraverso una riconsiderazione del carattere di animalità e in quello di libertà ontopoietica ed espressiva che ci riguarda da vicino.
Emancipare l’animalità non vuol dire liberare l’animale che c’è in te bensì l’animale che sei, avendo compreso il carattere complessivo dell’animalità. L’umanismo si è posto l’obiettivo di far emergere l’essere umano e per far questo ha dovuto segnare l’animalità per contrari, per cui non è possibile una liberazione che non sia prima di tutto emancipazione dai pregiudizi. Roberto Marchesini