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Anarchico per antonomasia

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Nel chiedersi cosa siamo per il gatto, l’essere umano sembra non aver chiaro quale sia il posto del piccolo felino nella propria vita, se non può essere assimilato al rango collaborativo proprio del cane, che trascina l’inevitabile pretesa del controllo e dell’assegnazione di un compito, e tanto meno a quello di una controparte umana, che può essere inibita in modo attivo e con risultati effettivi laddove metta in atto comportamenti che non ci piacciono.

gatto-discrezione

Noi umani amiamo comandare, per cui il gatto, anarchico per antonomasia, è vissuto come ingrato, fannullone, approfittatore fino a provare diffidenza nei suoi riguardi. Questo sottrarsi al nostro imperio, quasi segno di un aristocratico disprezzo per le pretese umane, se affascina taluni può disarmare o addirittura infastidire i più. Il gatto spesso si allontana dai nostri tentativi di avvicinamento, a differenza del cane che ricerca le nostre attenzioni, soprattutto se declamate e non importa se reiterate fino alla saturazione o espresse con gran frastuono e nella più caotica concitazione.

Questo ci fa credere che solo il cane sappia ricambiare l’affetto, perché ossequioso e ubbidiente, ma soprattutto collocabile all’interno di una casella interattiva e affiliativa ben precisa. L’essere umano non trova riconoscenza nel micio, perché troppo elusivo rispetto a quelle attribuzioni che amiamo predisporre e che, in ultima analisi, ci tranquillizzano.La presenza felina sembra sotterranea, quasi parassitica, nella declamazione miagolante della richiesta e parallelamente nell’esplicitazione di un fare distante ed emancipato.

Il gatto, in realtà, ama la discrezione, preferisce atteggiamenti cauti, quasi distaccati; proprio alle persone dotate della qualità di moderazione, quando non addirittura diffidenti o impaurite dalla sua presenza, accorda i suoi favori relazionali. Il gatto non si fida delle persone rumorose! Le persone che amano i gatti e li conoscono, avendo cura di evitare qualunque eccesso cinetico o vocale, ma altresì quelle un po’ timorose, che non s’irrigidiscono e iniziano a urlare ma si limitano a star ferme e guardare da un’altra parte, sembrano essere le preferite dal piccolo felino, che tenderà ad avvicinarsi a loro.

Tuttavia, per il gatto siamo molto importanti, ma lo siamo in un modo totalmente differente da quello che spartisce compiti, detta negoziazioni, istruisce sistemiche, perché per lui siamo entità dimensionali e non semplici controparti e mai e poi mai dei referenti di ruolo. Mentre il cane s’intromette nelle dinamiche relazionali tra i membri della famiglia, dimostrando la sua posizione di ruolo all’interno della sistemica, questo di solito non avviene nel gatto. La relazione con il gatto pertanto ha le sue regole, sta a noi rispettarle. Ma allora, perché s’insiste a tratteggiarlo quale usurpatore di cure affettive?

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Credo che vi sia un errore di fondo in questo ragionamento. Il gatto indubbiamente ci pone delle richieste, giacché lo alimentiamo e gli assicuriamo uno spazio di sicurezza, ma il suo rapporto con noi non è basato su questo. Se ci pensiamo, fino a qualche decennio fa, i gatti erano perlopiù indipendenti, sia dal punto di vista del procacciarsi il cibo sia per quanto concerne la definizione territoriale. Eppure da almeno 5 000 anni è attestato un legame affettivo con il gatto, un sodalizio che non si sarebbe mantenuto se non avesse contemplato delle reciprocazioni.

Ecco allora che mi sorge un dubbio. Forse dovremmo prendere in considerazione l’ipotesi contraria: che sia proprio il gatto a esprimere una vocazione alla relazione disinteressata, perché in lui manca completamente il principio concertativo, l’affidare la propria sopravvivenza al gruppo, a qualcosa cioè che non sia la sua mera e nuda individualità.

Sofia Calistri
Sofia Calistri
Sono una componente della redazione che si occupa di inserire i contenuti di Roberto Marchesini all'interno di questo blog. Auguro a tutti Voi una buona lettura!
http://marchesinietologia.it