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Cosa desideriamo dal cane?

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Cosa desideriamo dal cane? Essere rappresentati o corrisposti? Aiutati oppure solo obbediti? Le contraddizioni si affastellano nella nostra incapacità di vivere l’esperienza relazionale come un incontro: verso il cane siamo carichi di aspettative e di paure, troppo coinvolti per non risultare alla fin fine terribilmente egoisti.

Monologhiamo il nostro primo passo verso il cane e già partiamo con il piede sbagliato, vale a dire con l’idea che il cane sia un’entità riferita a noi a senso unico e che noi utilizziamo a piacimento. Lui deve assomigliarci per potersi adeguare al nostro profilo come una maschera: la nostra elezione sarà quindi costruita sulla base di affinità, affinché non si dia mai una nota stonata a quel mondo che come un demiurgo l’uomo ha edificato intorno a sé. La somiglianza ricercata ossessivamente ed eletta a principio di orientamento nella scelta del cane è forse l’ennesimo tentativo per non uscire da una dimensione amniotica che ci tranquillizza.

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Ma così facendo dimentichiamo che il più grosso ostacolo alla relazione è la chiusura in se stessi e l’egocentrismo, ovvero l’assurda pretesa che il mondo ci giri intorno. Con il cane, paradossalmente, tale accidente sulla relazione pare addirittura facilitato dalla sua tendenza ad aderire ai nostri desiderata con fin troppa accondiscendenza. Il cane infatti presenta un’antropodipendenza che non ha pari nel mondo animale e sul cane – non fosse altro che per l’antichità dell’evento di domesticazione – l’uomo ha dato libero sfogo a tutte le possibili fantasie selettive.

Così, questa faccenda della somiglianza spesso assume toni che, se non nascondessero delle tragicità, avrebbero del comico. Oggi questa deriva sembra ancora più pressante e i motivi trascendono il rapporto con il cane. Tra gli inconvenienti del nostro momento storico-culturale, perlomeno nei Paesi occidentali, vi è infatti la tendenza a pensare in modo egocentrato ovvero che la realtà si dia a noi avvolgendoci e orbitandoci intorno.

La tecnologia aiuta tale percezione perché amplifica le nostre potenzialità di accesso, accorcia le distanze, ci ubriaca di ebbrezze totipotenti, cosicché diminuiscono notevolmente le nostre capacità di accettare l’incontro come azzardo e come dialogo. Vediamo questo nella sempre maggiore richiesta di viaggi organizzati, di dimensioni non locali, di degenerazione delle relazioni, di chiusura nei social network, di richieste di incontri predefiniti, di individualismo sfrenato. L’egocentrismo, proprio per la sua forte radice solipsistica, allontana dal dialogo, disabitua la capacità di mettersi in relazione ossia di incontrare l’altro a mezza strada.

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Come ho detto, la relazione con il cane non può essere valutata solo sotto la lente etologica, perché risente di tutto il milieu socio-culturale in cui siamo immersi. Oggi chi prende un cane di una certa razza lo fa con lo stesso orientamento di chi sceglie un peluche: è l’aspetto esteriore a dettare le coordinate elettive, non certo la consapevolezza di una certa vocazione-attitudine relazionale o di un talento performativo.

 

Ecco allora che il catalogo delle razze sembra essere a tutti lo scaffale di un negozio di giocattoli, che fa bella mostra di morfotipi, caratteristiche del mantello, colori e altre amenità per una scelta priva delle minime conoscenze sul cane che si va ad adottare.

Sofia Calistri
Sofia Calistri
Sono una componente della redazione che si occupa di inserire i contenuti di Roberto Marchesini all'interno di questo blog. Auguro a tutti Voi una buona lettura!
http://marchesinietologia.it