
Nell’immensa varietà di modalità e stili si rischia di non capire quando inizia e quando finisce il gioco. Cominciamo con il dire che il gioco non è un comportamento specifico, ma una famiglia di comportamenti.
In fondo non c’è espressione che non possa essere presentata nello scrigno divertente e rassicurante della finzione. Impossibile perciò costruirne una categoria che possa manifestare un minimo comune denominatore, né si può tracciarne un confine netto. Tante sono le diverse tipologie di gioco e non credo di sbagliare se affermo che l’attività ludica altro non sia che una “dimensione particolare” dei comportamenti ordinari. Un gatto, per esempio, può rincorrere un topo in un’attività di predazione, come peraltro può mettere in atto le stesse sequenze comportamentali, gli stessi gesti e atteggiamenti, per raggiungere una pallina: l’unica differenza sta nel fatto che nel secondo caso lo fa “per gioco”.
Spesso la differenza non è così netta: il gatto può anche giocare col topo predato e il più delle volte il passaggio è repentino o addirittura sempre compresente. Possiamo dire che in ogni attività di un mammifero in fondo si nasconda una traccia ludica, forse il ricordo della prima esperienza infantile che ha confezionato quel pattern comportamentale. Alcuni animali poi mantengono anche in età adulta una forte predisposizione al gioco e i motivi sembrano essere due:
1) una tendenza neotenica della specie, aspetto che accumuna l’uomo e gli animali domestici;
2) uno sviluppo ontogenetico dell’individuo mantenuto in una condizione di agio.
Da adulti spesso ci dimentichiamo quanta parte l’attività ludica ha avuto nel costruire il profilo della nostra identità, per poi scoprire che le nostre passioni, quelle che tuttora sostengono le nostre occupazioni, hanno avuto proprio in un gioco remoto il loro incipit. Se è così presente, pressante, urgente, in questi strani animali che hanno fatto delle cure parentali il loro asso nella manica, una ragione ci dev’essere.
Pertanto occorre chiedersi quali vantaggi ha apportato il gioco nei mammiferi. Le ipotesi sono molteplici. Innanzitutto, attraverso il gioco, l’animale allarga il suo orizzonte esperienziale, perché prende contatto con l’ambiente, si relaziona con le cose presenti nella realtà esterna, interagisce con i propri simili. Poi, grazie al gioco, il cucciolo prende sicurezza nelle proprie capacità, attraverso una corretta gradualità di esercizio, vale a dire affrontando per piccole prove quelli che saranno i grandi problemi della sua esistenza.
Inoltre attraverso il gioco il cucciolo può sperimentare, affinare i propri strumenti di conoscenza, realizzare in pienezza la propria individualità. Infine possiamo affermare che grazie al gioco il cucciolo può esercitare i propri comportamenti di adulto sotto la supervisione del genitore che, così facendo, è in grado di orientare, indirizzare, strutturare in lui uno stile corretto di specie.