
Il cane è un animale sociale e tale carattere spicca su tutti gli altri, al punto tale che da sempre l’uomo quando ha voluto tratteggiare la fedeltà e l’immedesimazione nel gruppo ha utilizzato il codice del lupo-cane.
Essere fortemente portato alle relazioni di gruppo significa molto di più della semplice affermazione che il cane ama stare in compagnia. È un po’ come se, riferendoci al bisogno dell’uomo di realizzarsi, noi liquidassimo il discorso nella frase “l’uomo desidera lavorare”. La socialità del cane è la sua dimensione di vita, è cioè il luogo di accoglienza-realizzazione delle sue istanze. Essere un animale sociale e socio-riferito significa prima di tutto costruire dei rapporti molto stretti e delle assonanze, vale a dire che il cane cerca continuamente delle concertazioni e lì definisce il proprio posizionamento.
Non dobbiamo pertanto pensare che l’isolamento del cane da parte dell’uomo provochi nell’animale una semplice sofferenza da solitudine – l’uomo tende a interpretarlo come bisogno di affetto o di relazione – in realtà questo atto determina un vero e proprio deficit di potenzialità realizzativa. Il cane ha bisogno del gruppo per sentirsi. Il cane “sa” che le sue speranze di sopravvivenza sono affidate al gruppo, cosicché gran parte dello spettro motivazionale che lo caratterizza è socio-riferito, ossia trova il suo espletamento non in un rapporto diretto con il target motivazionale, bensì in un processo concertato con gli altri membri del gruppo.
La concertazione non è pertanto una semplice virtù che l’uomo nei secoli ha sfruttato nei più diversi lavori, ma la lingua stessa del cane. La socio-referenza del cane lo porta necessariamente a interessarsi al gruppo, a concertarsi con il gruppo, a posizionarsi all’interno del gruppo. Interessarsi al gruppo significa acquisire quante più informazioni possibili rispetto alle caratteristiche comportamentali dei membri del branco. Esattamente come un esploratore cerca di ottenere quanti più dettagli mappali riguardo al territorio in cui si sta muovendo, così il cane vuole conoscere tutto di noi.
Non meravigliamoci pertanto se è interessato a quello che facciamo, se non ci perde d’occhio un solo istante, se capta ogni variazione del nostro umore o dello stile di vita, se conosce perfettamente le nostre abitudini e i nostri gesti. Il cane impara nella quotidianità e per fare questo deve azzerare le distanze fisiche tra noi e lui: lo vedremo tranquillizzarsi solo quando se ne sta al nostro fianco, riusciremo a costruire un rapporto completo e articolato solo a patto di vivere il più possibile con lui.
Per questo molto spesso le persone, pur sforzandosi di dare al cane tutti i migliori comfort possibili, si ritrovano a fallire il loro rapporto: per il cane la situazione ottimale è vivere sempre in una dimensione condivisa, partecipare alla vita del gruppo potendo dare un contributo attivo. Non c’è giardino, non ci sono giocattoli, non ci sono affettuosità che possano controbilanciare la mancanza della vita in comune.
Tratto da L’identità del cane