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Essere gatto, tra personalità e appartenenza

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Essere gatto si può dire in molti modi, potremmo dire utilizzando la formula aristotelica: il perché sta in quell’intrinseca capacità di declinare al singolare la dimensione di specie, arte di cui il gatto sembra maestro.

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Ma per comprendere questo tratteggio personale, che rende ogni micio unico e per converso prototipico, è indispensabile fare una ricognizione a largo spettro sulla felinità. La dimensione felina si esprime attraverso la variabilità, vuoi nella promiscuità parentale, tale per cui in una cucciolata si è quasi sempre fratellastri, vuoi nella grammatica generativa dell’ontogenesi, capace di costruire nella molteplicità esperienziale infiniti modi di essere gatto.

È perciò una dimensione che non contrasta, nel rigore dell’appartenenza, l’ellissi individuale, bensì la sostanzia. La felinità è una sorta di galassia che lascia brillare ogni singolarità all’interno di una matrice di rimbalzi luminosi. La personalità del gatto diviene così più chiara ed esplicita nel rapporto con gli altri gatti e all’interno di una proposizione esistenziale che ritorna, per l’appunto, nel mare magno della felinità. Non si può comprendere l’emergenza singolare di quel gatto senza il principio coniugativo dell’essere gatto, quale modo di trasformare la realtà e di creare mondi.

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Se mi chiedessero cos’è la sostanza prima del gatto, non avrei dubbi o esitazioni nel rispondere: la curiosità. Il piccolo felino è infatti un esploratore nato, incapace di essere indifferente rispetto a una novità, un frullo o un baluginio che di colpo dovesse passargli sotto gli occhi, un pertugio o un contenitore in cui infilarsi per un esame dettagliato; non solo nulla sfugge ai suoi innumerevoli monitor sul mondo, ma egli setaccia attivamente e con pignoleria il network che lo circonda, avvalendosi di molteplici parole chiave, mai stancandosi di indagare la realtà per estrarre informazioni.

Il gatto è un cacciatore di esperienze ancor prima che di prede, dotato di una mente perennemente affamata, per cui resta continuamente affacciato al mondo esponendo senza veli l’arcobaleno delle sue emozioni, a tal punto che è possibile in un battibaleno vederne i viraggi, dall’entusiasmo all’allerta, dallo stupore alla paura. Credo che la forte coniugazione esplorativa ed emozionale, che lega il gatto a tutto ciò che lo circonda, sia un fattore non secondario della simpatia che suscita in noi.

Tratto da L’identità del gatto

Sofia Calistri
Sofia Calistri
Sono una componente della redazione che si occupa di inserire i contenuti di Roberto Marchesini all'interno di questo blog. Auguro a tutti Voi una buona lettura!
http://marchesinietologia.it