
Nonostante lo scarso – se non inesistente – rispetto per ogni forma zoologica dimostrato anche dalla società umana contemporanea, l’animale continua ad esercitare un suo indubbio fascino, tanto da fare osservare a Marchesini (2002) che: «La nostra vita di uomini è circondata da sapienze animali, si sostiene sull’ibridazione con l’animale, è fondata su segni animali».
Prendiamo ad esempio le macchine che, sempre secondo Marchesini (2002): “… rappresentano oggi la più importante controparte dello sviluppo dell’uomo”, essendo state realizzate su un modello archetipo teriomorfo. Ed è fuori discussione che un’automobile non sia ispirata nel suo aspetto generale all’idea stessa dell’animale, la quattro ruote essendo ispirate alle zampe, mentre i fari sono gli occhi, e la presa d’aria sul frontale è la bocca. Si giunge così a spiegare l’esigenza culturale di creare dei mostri, come risposta alle nostre necessità ataviche ma anche alla fascinazione-repulsione in noi preché ci spinge verso la creazione di mostri in risposta alle nostre necessità ataviche.
Torniamo all’origine del mito, alla creazione artificiale dell’essere fantastico, della creatura immaginaria che riassume in sé i caratteri dell’animale e dell’uomo: del vampiro, del licantropo, mezzo uomo e mezzo lupo, la cui esistenza non è possibile documentare scientificamente ma che si palesa nelle notti di luna piena e nelle profonde paure istigate dalle credenze più radicate nella tradizione popolare. Mostri come la sirena, l’unicorno, la sfinge, la chimera e le arpie sono evocati con estrema dovizia di particolari morfologici in più di un testo letterario ed in tante raffigurazioni artistiche.
Essi vengono generalmente descritti come creature aberranti ed ostili perché partecipi di due o più nature, diverse e contrapposte, tanto animali quanto umane. Solo in rari casi perdono quel carattere terrificante che li confina nella dimensione delle creature demoniche imposta loro dalla tradizione classica o da quella creduta nelle superstizioni popolari. Si torna di conseguenza a giustificare anche la necessità dell’esistenza della divinità, dell’essere ultraterreno per eccellenza in cui si riassumono i caratteri anatomici più peculiari sia dell’uomo, sia dell’animale.
Si torna nuovamente all’antico mito egizio di Horus, il falco, nato da Osiride, dio degli inferi e della fertilità; a Thot, divinità egizia della luna, sapienza, scrittura, magia, misura del tempo, matematica e geometria, mezza uomo e mezza ibis; a Hator, dalla testa di vacca, protettrice dell’amore e della gioia, dea madre universale, in quanto generava il dio sole e allattava Horus e il suo rappresentante, il faraone.
“L’appeal animale” ci dice ancora Marchesini (2002)“… è qualcosa di più di una fascinazione operata dall’esterno sull’uomo, se è vero – come credo – che non esiste un uomo puro ossia non teriomorfizzato dalla cultura”. Tutti i mostri cui abbiamo accennato sono il retaggio di figurazioni demoniche esotiche dalla cui minaccia la diffusione della filosofia occidentale ha liberato l’umanità. In Occidente, i demoni sono stati vinti dagli eroi di ideale bellezza. Alle creature terrificanti ereditate dall’arte orientale si contrappongono infatti gli eroi combattenti: Bellerofonte uccide la chimera in sella a Pegaso, il cavallo alato, mentre l’idra di Lerna viene annientata da Eracle, insieme ad altri mostri, nel corso delle celebri fatiche.
Edipo sconfigge la sfinge, simbolo del destino, dall’aspetto di donna, di leone e di uccello rapace, insieme. Perseo decapita la medusa dallo sguardo pietrificante, con la testa cinta di serpenti e le zanne di cinghiale. Dal suo collo mozzato nacque il già ricordato Pegaso, che non va tuttavia inquadrato come un essere aberrante e demoniaco, ma piuttosto alla medesima stregua degli altri eroi del mito. Pegaso è anch’esso, come Perseo ed Eracle, un eroe di ideale bellezza. La natura di Pegaso trascende il terreno e, come gli altri eroi del mito, lo differenzia dai comuni mortali, uomini o cavalli che siano, in virtù dei suoi attributi divini. Alla sfinge, alle sirene, ai grifoni non rimane dunque che il gusto amaro della sconfitta davanti all’abbagliante affermarsi delle supremazia degli eroi “belli e buoni”.
Articolo di Marco Masseti
(Tratto da Animal Studies “Humanimalia”)
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