
I gatti amano le persone discrete, quelle cioè che non alzano la voce, non si muovono in maniera convulsa, non gesticolano in modo eccessivo, non si lasciano andare a esuberanze, non pretendono affetto in modo morboso, non lo costringono a subire profluvi di carezze, non si agitano per la minima cosa, non hanno scatti d’ira o sono propense all’emotività, non hanno atteggiamenti violenti o anche solo troppo assertivi.
Beh, è certo che il micio è assai pretenzioso, talvolta sembra accordare le sue attenzioni a chi non lo bada o addirittura lo ignora. La gente tende a criminalizzare tali comportamenti, dando la colpa al gatto e riempiendolo di appellativi poco edificanti; in realtà nessuno di questi aggettivi corrisponde alla vera natura del nostro micio che, estremamente sensibile, si trova inevitabilmente a preferire i comportamenti riservati, fossero pure causati da timore o – perché no? – da disinteresse.
Spesso si dimentica che il gatto ha un’acutezza sensoriale e una sensibilità emozionale che difficilmente trovano l’eguale nel nostro universo umano; le sue preferenze sono perciò dettate proprio dal bisogno di evitare situazioni iperstimolanti. La vulnerabilità emozionale del gatto, il suo essere cioè particolarmente esposto alle emozioni forti e all’emotività, rende l’interfaccia con il mondo chiassoso dell’umano particolarmente problematica. Il gatto è dotato di finestre percettive molto raffinate – l’udito, il tatto, l’olfatto sono sensi assai più sviluppati rispetto all’uomo – che vanno in crisi quando entrano in relazione con la pachidermica interfaccia vigente nella nostra specie.
Ma non si tratta solo di acutezza sensoriale, bensì di un’altrettanto sensibile “soglia emotiva”, tale per cui la sovrastimolazione produce irritazione e stress. La relazione con il gatto richiede quindi una spiccata attenzione per non provocare in lui uno tsunami sensoriale ed emotivo, situazione che potrebbe compromettere sia il rapporto sia la sua salute psichica.