
C’è qualcosa di comune nell’essere mammiferi, inevitabilmente declinati al femminile, figli di quelle cure parentali da cui si accende la consapevolezza di esserci, paradosso di un principium individuationis che si realizza nel dialogo materno e non nei cupi recessi del cogito cartesiano.
E in quella comunanza sta l’offerta di cibo che un bambino spontaneamente fa quando incontra un animale, il riconoscimento di un cucciolo che ci fa provare tenerezza e il desiderio irresistibile di prendercene cura. Essere mammiferi significa avere una recondita voglia di adozione, condividere una dimensione lattea che si esprime nel maternaggio come nell’etimologia della parola alunno.
Essere mammiferi è una geometria esistenziale inevitabilmente instabile sul parapetto dell’intraspecifico, tendenza a sterminare i confini davanti al segnale pedomorfico: come i batteri si trasferiscono plasmidi, i mammiferi si contaminano nel flusso epimeletico. La lupa adotterà i gemelli fondatori di Roma, come il papua della Nuova Guinea si lascerà fotografare mentre allatta un piccolo suino, come mille altre storie del quotidiano che scivolerebbero dalle pagine algide dei resoconti etologici, tra gatti che adottano ratti e leonesse antilopi, gorilla cuccioli di cane, non fosse per quella grande tata di Konrad Lorenz che si porta dietro il caravanserraglio imprintato.
Essere mammiferi e non dominatori ha iniziato il grande cammino della società multispecifica, la reciproca domesticazione tra uomo e cane… ma poi cosa è successo? C’è qualcosa d’immondo nel prendersi cura di un cucciolo per poi ucciderlo e penso che ogni mito, ogni religione, siano l’espressione di una vergogna rimossa. Fiero il cacciatore rincorre il mondo animale, con la bramosia del predatore, uccide… certo, ma non tradisce il patto di chi si affida a te perché fin da piccolo te ne sei preso cura.
Dove finisce allora la metafora del buon pastore, se alla fin fine il collo di quello che a tutti gli effetti è tuo figlio viene reciso? Immagini bucoliche riempiono allora il nostro presepe, immagini che cercano di nascondere una verità difficile da mandar giù, per un mammifero.