
Spesso mi si chiede se anche gli animali hanno il senso della morte e la risposta non è mai semplice e non tanto per una sorta di agnosticismo o per mancanza di evidenze dirimenti, quanto perché questa domanda implica articolazioni assai più complesse di quello che può apparire di primo acchito.
Se per senso della morte intendiamo quel memento mori con cui ci roviniamo l’esistenza, sarei portato a rispondere con un netto no. Ma se il senso della morte è una sensazione più riferita al momento in cui il soggetto sta rischiando la vita o è in prossimità di concludere la sua esistenza, beh, in questo caso sarei propenso a rispondere sì. Ma è evidente che quando parliamo di un lutto, ci riferiamo a qualcos’altro, vale a dire alla sofferenza del distacco.
Sappiamo che, se una gatta è separata dai cuccioli, dopo un po’ di tempo mostra caratteristiche espressioni di disperazione, così come questi ultimi peraltro. Esistono neuromodulatori specifici responsabili di questa tendenza all’attaccamento, per esempio l’ossitocina. Nel gatto perciò non è infrequente assistere a comportamenti di chiusura e di abbattimento profondo, fino a vere e proprie condizioni di prostrazione, del tutto opposte a quelle di apertura – illustrate parlando della gioia – riferibili a stati che possiamo definire di “pena affettiva”: dovuti alla separazione, alla mancanza e alla perdita.
Questo stato è spesso il risultato immediato, oppure a progressiva insorgenza, di una condizione di carenzialità affettiva, allorché il micio debba affrontare una perdita – il fratellino o l’altro gatto con cui condivideva la propria quotidianità, il cane con cui aveva costruito un rapporto di intesa bilingue – o un allontanamento della figura referenziale, quando un familiare si allontana dalla casa oppure il gatto viene dato in adozione per un qualunque motivo, non ultimo la morte della persona.
La tristezza, può manifestarsi in diverse maniere:
i) il girovagare senza meta per la casa, quasi una sorta di sonnambulismo, come se il micio avesse perso i suoi riferimenti;
ii) l’attesa spasmodica sulla porta o sulla ciotola, come se il gatto avesse bisogno di uscire o di qualche cosa da noi, che però non si traduce nell’uscita o nella consumazione di ciò che gli offriamo;
iii) il miagolare persistente, con vocalizzazioni ad alto volume che si susseguono a un continuum più soffocato e interno, come se il gatto piangesse;
iv) l’improvviso cambiamento delle abitudini, la sonnolenza accompagnata da disturbi del sonno, il non utilizzo della cassettina;
v) la tendenza a nascondersi e ad appartarsi, senza motivo e non rifeibile alla paura o un allarme, ma semplicemente come espressione di distacco e depressione, disinteresse per tutto ciò che accade e per le relazioni;
vi) l’aumento compulsivo di comportamenti di autogrooming, fino a causare aree completamente alopeciche, accompagnato da una forte tendenza dei comportamenti centripeti, in particolare potomania e somestesia;
vii) l’insorgenza di forme di picacismo, forte interesse orale nei confronti di materiale non edibile, come elastici o altro;
viii) predisposizione alla patologie psicosomatiche, in particolare nell’area orale e urogenitale, disturbi della pelle, sensibilità alle infezioni da microrganismi saprofiti e rischio di tumori.
La tristezza può peraltro associarsi allo stress e all’ansia, può accelerare il processo d’invecchiamento o accompagnarlo, quasi sempre è riferibile a una condizione di persistente disagio e mancanza di well-being.