
Se da una parte è corretto avere degli atteggiamenti di cura verso il proprio cane, diventa un errore pretendere di chiudere la propria relazione in senso epimeletico. Affrontiamo un argomento spinoso, che purtroppo sta generando grandi problemi nel nostro tempo e che pertanto richiede un correttivo.
Come ho detto, non ritengo sbagliato impostare la propria relazione mettendo la cura al centro; quello che considero fonte di disagio per il cane, problemi per il proprietario e causa di criticità del rapporto è la chiusura della relazione nella cura genitoriale fine a se stessa, incapace cioè di evolvere anche in altre attività di relazione. Perché accade tutto questo? Perché cioè tendiamo a vedere nel cane un bambino?
I motivi sono vari, alcuni di tipo più genericamente culturali, altri più di ordine sociale. Innanzitutto direi perché con l’avvento della società urbana è diminuito lo spazio della collaboratività con il cane. In secondo luogo perché lo spazio di vita nel suo trasformarsi in senso tecnologico ha fatto emergere il bisogno di un maggior controllo e tutela sul cane. Poi non vi è dubbio che l’antropomorfizzazione ci abbia messo del suo, come peraltro la diminuzione della natalità nelle società occidentali.
Ma non vi è dubbio che anche la cultura abbia incentivato tale immagine, attraverso il concetto di “pet”, vale a dire traducendo la presenza dell’animale familiare in entità bisognosa di cura e accudimento. Il cane infantilizzato spesso è rinchiuso all’interno di una gabbia dorata che non gli consente di esprimere in pienezza la sua natura e il suo stile sociale. Il cane bambino è spesso vittima di maltrattamenti molto sottili, difficili da individuare, perché sommersi di comodità, carezze e bocconcini.
Il primo ostacolo che scorgo è la piena maturazione del processo di attaccamento ossia il raggiungimento di una prima condizione di autonomia, incentivando nel cane timorosità e stati ansiosi. Il secondo problema riguarda la socializzazione, vale a dire l’interazione con i propri simili, perché il proprietario con atteggiamenti genitoriali tende a tenere il cucciolo al riparo da qualunque esperienza interattiva. Vi è poi il problema della morbosità relazionale – quelli che tengono il cane in braccio o nel passeggino – che crea nel cane un deficit di apertura verso il mondo esterno, con il rischio di incrementare atteggiamenti di paura o diffidenza.
Anche all’interno della relazione stessa la chiusura epimeletica può creare gravi problemi. Una volta raggiunta la maturità sessuale, il cane si aspetta di essere inserito all’interno del gruppo attraverso un ruolo sociale e non su un piano di interazione parentale. Questo porta a grossi fraintendimenti tra cane e proprietario: il primo può pensare che certi atteggiamenti altro non siano che richieste di protezione da parte del proprietario, il secondo considera questi atteggiamenti in un’ottica antropomorfa dicendo che il cane è semplicemente viziato.