
Adottare un cane significa accettare il fatto che, d’ora innanzi, la propria casa diventa anche casa sua, è cioè una condivisione nel senso più profondo del termine.
Portare in casa un elettrodomestico, un oggetto di arredo, un giocattolo significa fare spazio a qualcosa, vale a dire trovare una collocazione utile nell’insieme di cose che ci appartengono: è quindi un “possedere”. Al contrario, nel momento in cui un cane entra nella nostra casa immediatamente ne prende possesso, la fa propria perché vi dimora: in questo caso il verbo corretto è “condividere”.
Si tratta di un passaggio importante cui non sempre si attribuisce il giusto peso. Per condividere occorre mettere in discussione alcune tendenze che spesso sorgono spontanee nello stile individualista che la nostra società ha ampiamente alimentato. La condivisione è un “mettere in comune”, accettare una sorta di sovranità limitata, considerare gli oggetti presenti come tramiti di relazione e non come espansioni di se stessi.
Si tratta di una trasformazione interiore che non riguarda soltanto aspetti gestionali o di mera organizzazione dello spazio. Per condividere è necessario riconoscere una convivialità nella vita quotidiana che coinvolge e non di rado stravolge i propri ritmi e le abitudini più consolidate. Occorre accettare che il cane non è un ospite, da confinare o al massimo tollerare, bensì una presenza che partecipa pienamente perché vive con noi e risiede in quella casa.
Il cane non occupa pertanto uno spazio, ma entra nell’intimità della nostra vita. Capire questo è preliminare a ogni altro preparativo. Per condividere è indispensabile trasformare la propria immagine di “casa” ancor prima di essa: è un ordine mentale differente anziché un ordine dello spazio. Il cane entra nella nostra dimora di soppiatto, dapprima un po’ confuso e spaesato, si muove timidamente cercando noi come base sicura. Poi lentamente si costruisce un’immagine del mondo che lo circonda, fatta di odori che persistono, di suoni che via via diventano familiari, di punti di riferimento come la cucina e la poltrona.
La casa è organizzata in una mappa mentale che in ogni momento gli indica la direzione giusta per raggiungere un particolare punto, per esempio la porta. Per il cane è il luogo di ritrovo del gruppo, il territorio da difendere dalla minaccia degli estranei, dove rinserrare i ranghi, il campo base da cui partire per le scorribande quotidiane. Molti sono i punti in comune tra il suo modo di vivere la casa e il nostro, ma esistono anche piccole differenze. Per noi è il luogo dove torniamo la sera dopo il lavoro: è perciò prima di tutto lo spazio del rilassamento più che dell’organizzazione del gruppo.
Inoltre la casa è la dimensione che ci rappresenta rispetto agli estranei più che un semplice confine: come un vestito in grado di presentarci agli altri. Gran parte dei problemi di relazione con il cane in casa nascono in tale differenza. Il modo migliore per partire con il piede giusto è individuare un compromesso negli ambiti che differenziano il nostro modo d’intendere la casa e quello del cane.
La prima difficoltà che incontriamo è quella di preservare gli oggetti che per noi sono importanti – in quanto elementi che ci rappresentano o a cui siamo affezionati – ma che, al contrario, per il cane rappresentano solo “cose del contesto” a libera fruizione: il tappeto su cui fare la pipì, la gamba del mobile del ‘800 da rosicchiare. Finché il cucciolo non è in grado di controllare i propri sfinteri sarà indispensabile togliere i tappeti, così come porre delle coperture impermeabili a poltrone e divani. Allo stesso modo è fondamentale avere l’accortezza d’imbottire tutto ciò che è in legno e allontanare dalla sua portata gli oggetti che desideriamo preservare: questo soprattutto nei primi mesi dopo l’adozione.
La seconda difficoltà riguarderà il rapporto con gli eventuali ospiti. Sarà importante far comprendere al cane che ci occupiamo noi dell’accoglienza degli estranei, rimandandolo nella sua cuccia prima di aprire la porta, anche a costo di aspettare. Dobbiamo essere molto fermi e decisi in questo perché altrimenti il cane penserà che è compito suo gestire gli ingressi: talvolta questo non è altro che un piccolo fastidio, talaltra può rappresentare un problema serio. Molto meglio prevenirlo in un modo che il cane capisce e accetta perché sta dentro la sua socialità.
La casa deve diventare un luogo di partecipazione per il cane, costruendo delle abitudini che indicano quali attività possono essere realizzate in casa e quali no. Per poter condividere è necessario acquisire delle regole e delle abitudini che ci consentano un accordo: non si giunge alla condivisione spontaneamente ma occorre un impegno per costruirla. Spesso le persone manifestano comportamenti contraddittori: una volta sorridono quando il cane mette in atto un certo comportamento, altre volte si arrabbiano.
Con facilità si hanno atteggiamenti ambigui, come quando diamo le scarpe vecchie da rosicchiare, ma poi ci arrabbiamo se prende quelle che abbiamo appena comprato. Altre volte si rischia d’essere ambivalenti: quando diamo del cibo al cane mentre stiamo mangiando, ma non vorremmo che si avvicinasse al tavola se ci sono degli ospiti. Spesso allestiamo dei giochi o delle modalità di gioco che divengono palestra di comportamenti che vorremmo evitare: per esempio nell’allenare il cucciolo a saltare per prendere un tessuto che teniamo in alto, che poi diventerà la sciarpa o altri indumenti.
La casa dev’essere il luogo deputato a costruire le corrette abitudini di relazione da portare all’esterno. Ciò è un aspetto decisamente contrario alle nostre consuetudini: vorremmo che in casa ci si potesse lasciar andare e fare ciò che non è consentito in pubblico. Con il cane questa regola non vale: se vuoi che il cane si comporti bene all’esterno deve abituarsi a quelle regole prima di tutto nello spazio domestico.