
Abstract: Fin dall’antichità il gatto è stato associato alla casa, trasmettendo calore dentro le mura domestiche, diventando una divinità per molti popoli. Spesso ci dimentichiamo dei valori che ci trasmette il nostro amico felino e lo consideriamo semplicemente un bell’animale. In realtà dietro quegli occhi color ambra c’è un mondo tutto da scoprire!
Sovente si dice che il gatto è bello perché rientra nei nostri canoni estetici, ma io sono convinto del contrario, vale a dire che siano stati i felini stessi, e perciò non solo il gatto, a informare alcune categorie del bello e del sublime nell’essere umano, per ragioni che si perdono nella notte dei tempi, lungo il percorso filogenetico dell’umano lignaggio.
Il gatto rappresenta così la dimensione addomesticata di un universo misterioso carico di sentimenti contrastanti, tra cui non ultima potrebbe figurare la paura. In effetti, osservare il gatto, significa assistere nel proprio rifugio domestico, ovviamente mantenendo le debite proporzioni, all’espressione tragica del leone, del leopardo e della tigre, alla malia di una predazione chirurgica e subitanea che spezza la realtà come un fulmine, sancendo una cesura sul continuum che affascina nel raccapriccio. Il suo gioco ha una risonanza che non ci lascia mai indifferenti.
Le fusa rappresentano un altro elemento magico dal forte potere osmotico, che fa vibrare all’unisono la mano che segue il tragitto del pelo, per poi diffondersi sull’intero corpo, come se il nostro stesso cuore venisse coinvolto in quel mistero ritmico che si prolunga a murmure profondo. Le persone in genere sostengono di provare piacere e non solo una sorta di soddisfazione affettiva, allorché il loro micio ricambia le attenzioni con le fusa.
Difficile dire quale sia la natura di questa sorta di benessere epidermico, quasi narcotico, che ci trasmette il piccolo felino durante le fusa. Questo strano borbottio dalla fisiologia ancora incerta, nel pentagramma variegato delle vocalizzazioni feline, sembra indurre uno stato di sospensione, quasi avesse il potere di fermare il tempo e ricavare una parentesi nel vissuto. Di certo il gatto ha un effetto ipnotico, nello sguardo come nei gesti, nello sbadiglio prolungato e nello stretching distratto con cui instaura una sorta di ginnastica rilassante che ci avvolge. Il gatto è terapeutico.
Il suo contributo al welfare domestico non è attribuibile alla sola interazione diretta, ma al milieu che sa inaugurare. La presenza di un gatto dà calore alla casa, anche quando lui si rifugia in angoli remoti e forse proprio nel suo esserci senza declamare la presenza, come se l’intera casa prendesse vita attraverso il palpito nascosto del suo esserci. Quivi forse riemerge il significato stesso dell’alleanza con il gatto, perduta in un’alba neolitica allorché l’essere umano agli albori della pratica agricola cominciava a misurarsi con la proliferazione di topi e di ratti.
Il gatto diveniva così la divinità protettiva delle risorse e della fertilità, la Bastet che nell’antico Egitto tutorava la casa, la donna, la fertilità, grazie all’azione contenitiva dei roditori infestanti e la protezione del focolare dal pericolo dei serpenti, tutt’altro che secondario. Il gatto è perciò risonanza di un’antica sicurezza all’interno del proprio mondo e assicurazione di ricchezza rispetto alle risorse accumulate e disponibili, da cui il suo essere tuttora percepito come nume tutelare che lo affianca alla dimora.
D’altro canto assegnare il gatto alla casa, per quanto coerente con alcune disposizioni del felino, rappresenta un’inaccettabile riduzione del suo significato relazionale.
Vivere con un gatto è sicuramente una delle più belle esperienze che la vita possa riservarci, anche se non sempre sappiamo apprezzare o, meglio, riconoscere quello che lui ci offre quotidianamente.