
Chi non conosce gli Scarabei? Chi non li ha visti almeno una volta, o non ne ha sentito parlare? Insieme ai Cervi volanti, formano uno dei gruppi di Coleotteri più noti, interessanti, numerosi e vari dello sterminato mondo animale: sono riuniti oggi nella classe degli Scarabacoidea, noti in lingua italiana come Lamellicorni, e in inglese come Beetles, o Scarab-Beetles: caratteristici per le antenne composte di lamelle, ma per il resto con straordinaria varietà di dimensioni, forme, colori, abitudini ed ecologia. Su questi piccoli animali si potrebbe scrivere non un solo libro, ma una intera Scarabeopedìa, sul modello di una recentissima Insectopedìa inglese, che spazia ben oltre gli aspetti strettamente biologici, sistematici e faunistici estendendo lo sguardo a storia, costume, cultura, folclore, aneddotica e cronaca.
Poche citazioni possono rendere l’idea della ricchezza e varietà di specie dei Coleotteri, meglio di quella riferita al biologo inglese John Burdon Sanderson Haldane il quale, a chi gli chiedeva cosa avesse in mente il Creatore mentre dava vita alla materia, rispose serissimo: “Una smodata passione per i Coleotteri!”. Qualcuno dubita che lo scienziato abbia potuto davvero esprimersi così ma certo questo aforisma, che circola ampiamente negli ambienti entomologici, colpisce e fa riflettere.
È noto che finor
a sono state descritte oltre 350.000 specie di Coleotteri, al ritmo di circa cinque al giorno, e si stima che oggi si conoscano nel mondo circa 35.000 specie di Scarabeoidei (ma certamente sono assai di più, considerando quelle ancora da scoprire e denominare), di cui oltre 350 vivono in Italia. Il nostro Paese ospita quindi l’1% dell’intero gruppo e i nostri Scarabei – così chiameremo da questo momento, per praticità divulgativa, i Lamellicorni – rappresentano la millesima parte dei Coleotteri finora noti alla scienza.
Il rapporto dell’uomo con lo Scarabeo nasce fin dai primordi della storia, e certo si tratta degli insetti più osservati, considerati e rappresentati già millenni or sono. Nell’Egitto dei Faraoni lo Scarabeo coprofago, detto stercorario perchè si nutre degli escrementi di vari animali, era considerato sacro, simbolo del sole e della creazione. Splendidi scarabei in pietre di ogni colore, e non solo neri come si presenta per lo più un normale scarabeo coprofago, sono diffusi e vengono ancora ritrovati negli scavi archeologici, lungo il Nilo e in tutte le aree intorno al Mediterraneo in cui si era estesa l’influenza dell’antico Egitto. Nella Grecia classica Aristofane narrava del passatempo dei ragazzi di far volare uno scarabeo d’oro legando la sua zampetta a un lungo filo: un gioco tramandato per secoli e secoli, arrivato ai giorni nostri nelle campagne, dove la cattura e osservazione di uno scarabeo d’oro conserva ancora il valore ludico del gioco all’aria aperta, tutto sommato sano e innocente… Mezzo secolo fa, allorché i giovani dell’Italia agropastorale non venivano ancora assorbiti da distrazioni come televisione, cellulari e motorini, era facile incontrare tra viali di tigli e ligustri, cespugli di rose e siepi di sambuco, torme di ragazzi vocianti con in mano uno spago, con appesa la loro brava cetonia ronzante. E il bello è che nelle varie località, anche non troppo lontane tra di loro, a questo insetto venivano attribuiti nomi dialettali diversi – come per esempio “zagarolo” nella placida Ciociaria – , segno evidente che si trattava di abitudini di origine antica, poi evolutesi separatamente nel corso del tempo.
Anche nella Roma antica gli Scarabei venivano presi in considerazione, ma per ben altri motivi: le loro grasse larve, infatti, insieme ai bruchi di certe farfalle rodilegno, erano molto ricercate per scopi commestibili, e apprezzate come vera e propria ghiottoneria. Il valore alimentare dei coleotteri, e degli insetti in genere, ancorché sdegnato dalla nostra civiltà occidentale, non va davvero trascurato: e non è mancato neppure chi, come l’inglese Vincent Holt nel 1885, abbia pubblicato un’opera dal titolo significativo: “Perché non mangiare insetti?”. Nell’Estremo Oriente e nell’America Latina, si scoprono i menu e pasti più disparati: sia a base di ortotteri e lepidotteri, che di coleotteri, con gli scarabei naturalmente in primissimo piano. Del resto, fino al secolo scorso abitudini del genere sopravvivevano anche da noi: e l’amico entomologo Giovanni Binaghi raccontava nel 1951 nel suo libro Coleotteri d’Italia d’aver da giovane assistito in Brianza a giochi di ragazzi che a fine giugno, all’imbrunire, si divertivano a catturare i Rhizotrogus, togliendo loro le elitre e le ali, per poi mangiarne il grasso addome che trovavano appetitoso e dolciastro.
Se lo Scarabeo sacro resta incontestabilmente l’icona venerata nell’antichità, nel Medioevo e nel Rinascimento una nuova immagine si afferma tra mito, superstizione e leggenda, e poi lo sostituisce gradualmente: quella inconfondibile del Cervo volante, al quale viene attribuito ogni genere di proprietà positiva e negativa: portafortuna con proprietà curative, capace di allontanare malanni e disgrazie, oppure uccello del malaugurio, piromane capace di incendiare le case… Infinite sono le sue raffigurazioni nell’arte, nelle illustrazioni e nelle decorazioni, come si scopre osservando con attenzione negli angoli di famosi dipinti, come quelli di Albrecht Duerer e Jan Bruegel. E se questo Coleottero dalle lunghe “corna” (si tratta in realtà di enormi mandibole) veniva in antico chiamato anche bue xilofago, o assimilato nella forma a uno strumento musicale come la lira, il suo aspetto che evocava la sagoma di un maestoso cervo maschio messaggero degli dei indusse la religione cattolica a vedervi anche un simbolo sacro, simile a quello con il crocefisso tra le corna, che portò alla conversione Sant’Eustachio e Sant’Uberto.
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e
i temp
i, la società
umana era assai più legata alla terra, e in simbiosi con la natura, di quanto non avvenga oggi. Si vedevano da vicino e si potevano toccare animali e piante, si cercava di capirne ritmi e valori, si attribuivano qualità e proprietà, e comunque si era sempre alla ricerca di simboli e significati. Per la civiltà Egiziana legata a territori aridi e caldi, la natura poteva presentarsi nella veste di uno Scarabeo che incessantemente rotola la sua pillola catabolitica. Ma l’ambiente dell’Europa ammantata di dense foreste era ben diverso, e produceva Cervi volanti di impressionante grandezza (un maschio di massime dimensioni può raggiungere 8 cm di lunghezza, ed è dunque il più grande Coleottero del continente).

Nell’epoca moderna, a suscitare crescente interesse per gli Insetti fu il talento del grande entomologo e narratore Jean-Hen
ri Fabre, celebrato come “osservatore inimitabile”, “poeta della scienza” e “Omero degli insetti”. Antesignano di discipline future come l’ecologia e l’etologia, con le sue ricche, pazienti e profonde ricerche, che nel 1878 riunì nell’opera “Ricordi di un Entomologo”, egli influenzò profondamente tutta la cultura e la scienza dell’Ottocento. Apprezzato oggi assai meno di quanto meriterebbe, Fabre resta però un vero mito in terre lontane come quelle del Sol Levante: e non sono pochi i giapponesi che giungono in Europa in devoto pellegrinaggio, per visitare la piccola casa-laboratorio di Serignan in Vaucl
use, dove egli visse e lavorò per molti anni.
Ai tempi d’oro dell’entomologia, e soprattutto nella Francia degli ultimi due secoli, la ricerca degli Insetti, e soprattutto quella degli Scarabei più rari e delle Farfalle più vistose aveva assunto il carattere di una vera corsa all’oro, con il coinvolgimento quasi maniacale tipico di un certo collezionismo, facendo prosperare un originale mercato, e sviluppare un commercio che aveva contatti con ogni parte del mondo. E spesso il progresso delle conoscenze si è basato anche su esplorazioni ripetute, scoperte inattese o rinvenimenti casuali ad opera di sconosciuti raccoglitori locali. L’incontro con un Coleottero nuovo e insolito, che sia grande, raro e splendido oppure piccolo e all’apparenza insignificante, può donare all’entomologo emozioni simili a quelle dell’archeologo che, dopo anni di vane ricerche, scopra d’improvviso la tomba d’un re o le rovine d’una antica città scomparsa. Ed è difficile oggi immaginare quale fremito di impressioni suscitasse nel mondo degli studiosi e ricercatori un evento del genere, in un’epoca in cui la cultura svolgeva nella società un ruolo davvero preminente.
Franco Tassi
(To be continued)