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Spino – tratto da “Il Cane secondo me”

Roberto e Spino

Per chi fosse curioso di leggere il nuovo libro di Roberto Marchesini “Il cane secondo me” e di conoscere la storia di Maya, Isotta, Belle, Toby e di tutti i piccoli personaggi a quattro zampe che hanno reso possibile la stesura di questo libro … ecco qui uno stralcio su “Spino”, un cane “pungente e ispido ma… simpaticissimo”!

“Il cane è forse l’animale che più di ogni altro si trova al centro di un binario: abita una terra di mezzo tra il regno delle cose e quello delle persone, è disponibile a lasciarsi assimilare dal novero degli strumenti come per converso è facilmente capace di partecipare al convivio e di affiliarsi al gruppo come membro della famiglia o partner di attività. Questo è il motivo che nega al cane una posizione di rilievo nel catalogo delle ricerche antropologiche e parimenti che lo rende oggetto spurio da rigettare per le analisi etologiche: parlare di cane significa avventurarsi in un territorio incerto, dove non valgono più le regole delle persone ma nemmeno quelle che disciplinano le cose o gli strumenti. I cani assomigliano ai replicanti di Blade Runner, il loro statuto resta confuso e chi entra nel loro mondo, inevitabilmente, si espone a dei rischi. Mettersi sulle tracce del cane significa finire in un labirinto di connessioni, dove non puoi mai dire quando finisca il cane e inizi l’essere umano e viceversa. Come due facce della stessa medaglia filogenetica, si alternano nella ripetizione dei lanci, con il richiamo reciproco della casualità, e questo indubbiamente ha un effetto disarmante per noi. Così, mettersi sulle tracce del cane, significa accettare un paradosso: noi per primi abbiamo rimosso gli indizi, sporcato il quadro, nascosto le prove e lo abbiamo fatto per uno strano imbarazzo. (…)

Ho scritto tanti libri sul cane e forse nessuno veramente, perché non credo che si possa parlare del cane come di qualcosa da disgiungere, ritagliare con precisione e poi incollare su un fondale nero… Ci sono aspetti però che credo importanti e che ho cercato di trasmettere in questo scritto: occorre ammettere che, dietro le pieghe dell’interpretazione, si nasconde una prospettiva, quella che inevitabilmente ciascuno costruisce e che pervade ogni coordinata dell’orizzonte. Ciò che è personale e intimo non resta mai rinchiuso nella dimensione del soggettivo e dell’estemporaneo, ma tracima come un fiume e ammettere la natura relazionale di ogni espressione, il vivere su una soglia, genera di per sé una costellazione di significati che prendono il volo e non li puoi fermare. Ecco allora, che il rapporto con il cane, proprio per il suo carattere archetipico, assume un significato antropologico fondativo, che negli anni ho cercato di mostrare e che mi sollecita a darne una valorizzazione, quando la cultura contemporanea sembra, al contrario, banalizzarlo.
Forse è questo il peccato capitale del nostro tempo: non comprendere il valore del nostro rapporto con le altre specie.

 

SPINO 

 L’Arte di Arrangiarsi

Il nome se l’era guadagnato in canile, come una medaglia sul campo di battaglia. Spino, nomen omen, biglietto da visita di una natura e un aspetto che lasciavano ben pochi dubbi – pungente e ispido – quanto di più autenticamente selvaggio ci potesse essere in canile. Già da due anni vi dimorava, con ben poche speranze di uscirne. Non era particolarmente attraente, non più giovincello, ma soprattutto aveva un carattere infernale… però piaceva. Anzi, quanto più esasperava, per via di quel piglio decisamente spinoso, imprevedibile, ondivago, tanto più si guadagnava le attenzioni dei volontari. Spino: mi viene da sorridere a pensare a lui ora, a cinque anni dalla sua morte e dopo tutto quello che abbiamo costruito insieme, lontano dal canile. Spino era la primula rossa di un mondo contraddittorio, di un vociare confuso pieno di iterazioni acute ed esclamazioni puerili; insieme a me sarebbe diventato una quieta staffetta per passeggiate silenziose insieme a Maya lungo l’argine del Reno.

Era il 2006 e io tornavo al canile, quasi a concludere un discorso iniziato diciotto anni prima. Tutto era rimasto più o meno come allora, come ai tempi di Isotta: un concentrato di sentimenti in lotta tra loro, come onde che si rincorrevano senza mai raggiungersi. Il mio interesse per Spino era etologico e antropologico insieme, tanta era l’attenzione che tutto il canile gli dedicava, a dispetto del suo profilo. Spino attirava l’interesse dei volontari, quasi li calamitava, e tanto più mostrava il suo lontano e scostante orientamento verso l’essere umano, tanto più sembrava acquisire credito. Anche questo, peraltro, la dice lunga sul clima del canile e sui profili psicologici delle persone che spesso lo frequentano. Passeggiavo insieme a Spino, lungo un sentiero erboso, fiancheggiato da una parte da un canale dall’altra da filare di pioppi, era un assolato giorno di luglio. La pianura sconfinava a vista d’occhio, spoglia di alberi e invasa dalle monocolture, con macchie di casolari, profili di capannoni, proiezioni perpendicolari di elettrodotti. Da un campo nomadi, voci confuse di bambini si rincorrevano tutto intorno insieme al frinire convulso delle cicale.  

Spino sembra completamente compreso nel suo mondo: non risponde e non si rivolge a me, non alza lo sguardo e il naso dal terreno, vuole semplicemente marcare ogni cosa, sembra cercare qualcosa ma non pone attenzione a nulla. Guardo il suo mantello biondo e ispido, i suoi occhi assenti. Dove sei, Spino? Dove sei stato in tutto questo tempo? C’è un po’ di ombra più avanti e io non ne posso più di questo sole che martella, ho bisogno di un attimo di tregua. Ma Spino non mi sente e s’infila in ogni pertugio, tra i cespugli, nella fanghiglia del canale…  Penso che sia il momento di tentare qualcosa, perché la nostra relazione non sta procedendo, è drammaticamente ferma al momento in cui ci siamo visti la prima volta. Ora Spino sta spingendo in avanti, come un trattore a tutto gas, ma io non lo seguo, non sono disposto a fargli credere d’essere nient’altro che una slitta che lui è costretto a trascinare: se vuole procedere, deve trovare un accordo con me.  Dopo un po’ comunque Spino ha capito, perché i cani ci mettono un attimo a capire, e si volta verso di me. È passato dal trascinarmi all’ingaggiarmi: è un progresso, ma non mi va ancora bene, per cui gli mostro un’altra direzione e lo invito a procedere in senso inverso. Spino esita, riprende a tirare nella sua direzione: non lo assecondo. Questo è un momento delicato, perché Spino potrebbe anche aggredirmi, se non ho frainteso il suo profilo; resto di ghiaccio, non lo sfido, ma non lo assecondo nemmeno di un millimetro, attendo. Spino si ferma, si guarda intorno e questo non è un buon segno, resto immobile e finalmente vedo i suoi muscoli rilassarsi, il suo corpo assumere forme arrotondate, la sua coda abbassarsi. Perfetto. Torno a ingaggiarlo in una certa direzione e questa volta mi segue: nessun bocconcino, nessuna parola, va bene così.”

E per sapere come continua… correte ad acquistarlo!

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Benedetta Catalini
Benedetta Catalini
Sono una componente della redazione che si occupa di inserire i contenuti di Roberto Marchesini all'interno di questo blog. Auguro a tutti Voi una buona lettura!
http://www.siua.it