

Superiore di Filosofia Orientale e Comparativa di Rimini (Università di Urbino).
Insegna Ecologia e Scienze Naturali presso l’UNITRE di Saronno.
La posizione antropocentrica, che dà valore a qualunque cosa solo in funzione umana, è la più diffusa nella nostra cultura. Invece una visione del mondo biocentrica assegna “valore in sé” a tutti gli esseri viventi, una visione ecocentrica dà valore a tutte le entità naturali e alle loro relazioni. Gli umani, le loro culture, le relazioni fra di esse, sono entità naturali, e quindi anch’esse degne di “valore in sé”.
L’uomo sta alla Natura come la parte al Tutto, come un tipo di cellule sta all’Organismo psicofisico di cui fa parte: un gruppo di cellule ha maggior valore in sé se lo si vede come parte integrante di un Organismo di quanto ne abbia se considerato isolato. Dare un valore in sé a tutte le entità naturali e alle relazioni che le legano vuol dire attribuire un profondo significato alla Vita e al mondo, accettarne e comprenderne la spiritualità immanente.
Gran parte delle posizioni attuali della cultura occidentale derivano dalle religioni che si sono originate nella regione medio-orientale ed hanno invaso il mondo, spesso con la violenza, diffondendo ideologie mostruosamente antropocentriche. Le istituzioni che le rappresentano continuano quest’opera: a parte le amenità sul concetto di “anima”, anche sul piano pratico si agitano non poco per quattro cellule surgelate (purché umane) e non dicono una parola sulle spaventose sofferenze inflitte a tanti esseri senzienti o sulla distruzione degli ecosistemi.
Il pensiero materialista non ha cambiato nulla mantenendo l’uomo “al centro” attraverso una specie di “merito selettivo”, che gli ha conservato l’esclusiva mentale-spirituale.
In sostanza, l’ecologia è soprattutto la percezione di far parte integrante di un Complesso molto più vasto, l’Ecosistema (o la Terra), ed avere come primo valore la buona salute di questo Organismo. L’etica richiede una sorta di empatia verso tutte le entità naturali.
Jane Goodall, la scienziata inglese che ha passato 50 anni fra gli scimpanzé, così si esprime sul loro sentimento religioso:
Nel profondo della foresta di Gombe c’è una spettacolare cascata. Talvolta, mentre gli scimpanzé si avvicinano e il rombo dell’acqua che cade si fa più intenso, il loro passo si affretta, i peli si rizzano dall’eccitazione. Quando raggiungono il corso d’acqua mettono in atto scene magnifiche, alzandosi in piedi, ondeggiando ritmicamente da un piede all’altro, sbattendo le zampe nell’acqua bassa e in corsa, raccogliendo e lanciando grosse pietre. A volte salgono sulle liane che penzolano dall’alto e fanno l’altalena fra gli spruzzi dell’acqua che cade. Questa “danza della cascata” può durare dieci o quindici minuti, dopodiché può accadere che uno scimpanzé si sieda su una roccia, con gli occhi che seguono il percorso dell’acqua. Che cos’è, quest’acqua? Continua ad arrivare, continua ad allontanarsi, eppure c’è sempre.
Probabilmente gli scimpanzé provano un’emozione simile a una meraviglia o ad un riverente rispetto. Se hanno un linguaggio parlato, se possono discutere delle emozioni che innescano queste magnifiche scene, ciò significa che hanno una religione animistica “primitiva”.
Per secoli, nella cultura occidentale, l’idea di “umanità” è stata vista in contrapposizione con quella di “animalità”: questa opposizione oggi è insostenibile da tutti i punti di vista, soprattutto da quello scientifico-filosofico. Ora sappiamo che l’uomo è a tutti gli effetti un animale, anche facilmente classificabile. Non c’è alcuna discontinuità nel complesso della Vita. Per un cambio di mentalità su questo tema, sarebbe molto utile cominciare anche a modificare il linguaggio, attraverso il quale viene tramandato il sottofondo culturale: dovremmo dire “gli altri animali” e indicare gli altri animali, le piante, gli esseri collettivi e gli ecosistemi con la locuzione “gli altri esseri senzienti”.
Gli altri viventi, una foresta, una palude, un termitaio, una specie sono entità dotate di mente: partendo da un altro approccio, già lo psichiatra junghiano James Hillmann parlava della nostra immersione nell’Anima del mondo.
Si può parlare di mente associata al sistema totale, ovvero a tutta l’Ecosfera (il Grande Inconscio, o Inconscio Ecologico): abbiamo così ritrovato l’idea di Gaia già teorizzata da altri scienziati (Lovelock, Margulis, Sheldrake). È chiaro comunque che ci siamo portati su posizioni ben lontane dall’idea tradizionale dell’uomo che studia dall’esterno e manipola a suo piacimento un mondo fatto di materia-energia. La distinzione fra mondo energetico-materiale, al servizio della nostra specie, e mondo mentale-psichico-spirituale, che un tempo era considerato come esclusiva umana, si è dissolta. Qui siamo molto lontani anche dall’idea che la mente sia soltanto “il prodotto” di un sistema nervoso centrale.
Il filone di pensiero cui abbiamo accennato ci dà la speranza di ritrovarci in un mondo che riscopre lo spirito dell’albero, della palude, del torrente.
Invece del Dio-Persona distinto dal mondo e giudice delle azioni umane, troviamo il Dio-Natura immanente in tutte le cose, e quindi anche in noi stessi, che ne siamo partecipi. La Divinità osserva sé stessa anche attraverso gli occhi di una marmotta, o di una formica, o l’affascinante e misteriosa sensibilità di un albero.
Terminerò con una citazione (di Hubert Reeves, astrofisico canadese):
L’uomo è la specie più folle: venera un Dio invisibile e distrugge una Natura visibile, senza rendersi conto che la Natura che sta distruggendo è quel Dio che sta venerando.
Guido Dalla Casa