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Kubrick, Amore e Aggressività

aggressività

Kubrick, che nasce il 26 luglio 1928, è il protagonista di questo articolo sia per il suo “inedito” e spasmodico amore per gli animali (come racconta Emilio D’Alessandro in Stanley Kubrick e me), sia per la sua capacità unica di esplorare molti generi, senza farsi dominare dalle convenzioni e trasfigurandole continuamente, e per la sua estrema convinzione, riportata in molti suoi film, che non ci fosse bontà nella specie umana o capacità di autogovernarsi senza istituzioni, in quanto ogni uomo è un essere aggressivo e violento per natura: ” L’uomo non è un nobile selvaggio, è piuttosto un ignobile selvaggio. È irrazionale, brutale, debole, sciocco, incapace di essere obiettivo verso qualunque cosa che coinvolga i propri interessi. Questo, riassumendo. Sono interessato alla brutale e violenta natura dell’uomo perché è una sua vera rappresentazione. E ogni tentativo di creare istituzioni sociali su una visione falsa della natura dell’uomo è probabilmente condannato al fallimento. Quale migliore protagonista si poteva scegliere per questo articolo?

L’aggressività è una tematica e componente psicologica che spesso viene equivocata dalla nostra cultura basata sui buoni sentimenti o, meglio, sul sentimentalismo a buon mercato che, viceversa, campeggia sui media soprattutto quando si parla di animali. E così ci ritroviamo orsi che salvano corvi o cani che cercano di rianimare pesci, con iperboliche condivisioni e puntuali chiose del tipo “che amore”, “che carino”, “che tenerezza”, rivelando un bisogno incredibile dell’essere umano del nostro tempo di cercare un aggancio di condivisione simpatetica sulle corde dell’amore universale. Indubbiamente questo bisogno fa da contrappasso ovvero – immagino – cerca di compensare l’altrettanto pervasivo brodo di violenza a cui siamo sottoposti giornalmente attraverso i media, con immagini e filmati terrificanti, dove la violenza diventa il contenuto e non, semmai, il mezzo – seppur disdicevole – di un messaggio.

Ma ormai le cose si complicano e diventa difficile separare da questo guazzabuglio i confini dei quattro fondamentali della comunicazione ossia media, pragma, segno e significato… del resto qualcosa in proposito era già stato detto da un certo Marshall McLuhan, ma ora direi che siamo andati oltre. Comunque non è questo il punto. Il fatto è che il voyerismo umano getta inevitabilmente le persone nella piscina dell’orrore – pensiamo a quante visualizzazioni ricevono filmati di giugulazione e decapitazione – e molto probabilmente si cerca poi di allontanare questo naufragio che non è affatto dolce – a differenza del sublime ottocentesco – asciugandoci nel caldo e accogliente nido delle altre specie, a cui chiediamo il compito di proseguire i nostri dolci sogni infantili, messi in scena da quel grande regista mitologico che è stato Walt Disney. Se i greci avevano l’Iliade e l’Odissea, noi occidentali abbiamo La Sirenetta e il re Leone ed è naturale poi cercar conforto nei propri miti o lasciarsi andare a dolci regressioni infantili. Gli altri animali devono pertanto assolvere il compito di “basi sicure“, anche se di ordine esclusivamente regressivo, capaci di confortarci e darci quella rassicurazione amniotica che l’Uomo Vitruviano non è più in grado di fornirci.

Quello che tuttavia non è accettabile è pretendere di annullare negli eterospecifici tutto ciò che non rientra all’interno dello spazio delle nostre fantasie; si tratta di una forma di antropocentrismo, molto subdola peraltro, perché in apparenza si fa un panegirico delle virtù animali ma in realtà si negano le loro caratteristiche per sostenere un’immagine che fa parte di nostri bisogni. Uno degli aspetti fondamentali riguarda l’aggressività, una componente centrale nell’espressione comportamentale di tutte le specie, uomo compreso.

L’aggressività viene così stigmatizzata come patologica quando si presenta e negata o passata sotto silenzio, per il solo fatto che non rientra nell’ideologia dell’armonia universale. In realtà l’aggressività è molto spesso lo strumento espressivo che consente di realizzare quegli stessi predicati che tanto apprezziamo. Per esempio: come potrebbe esprimersi l’amore materno senza la possibilità di difendere i propri cuccioli con le unghie e con i denti? L’aggressività intraspecifica inoltre è la componente che consente la dispersione degli individui su un territorio, consentendo la ripartizione delle risorse e lo sviluppo degli equilibri ecosistemici. Altro piccolo dettaglio – a rammemorare il grande Charles Darwin – tutti i predicati adattativi, anche quelli che più ci fanno commuovere – sono il frutto di un processo di bulino estremamente raffinato chiamato selezione ove l’aggressività ha avuto un ruolo primario. Nella selezione sessuale l’aggressività si manifesta nelle forme ritualizzate dei tornei, delle competizioni e persino nelle espressioni coreografiche dei rituali nuziali, come ben comprese Niko Timbergen analizzando la danza dello spinarello. Far passare l’aggressività come comportamento delinquenziale o deviante rappresenta un’enormità sotto il profilo etologico.

C’è poi un altro aspetto che farebbe sorridere se non fosse tragico come termometro dell’antropocentrismo strisciante che caratterizza la nostra cultura. Le espressioni aggressive degli animali non possono essere assimilate a un atto riprovevole da castigare perché, come già aveva inteso il nostro Giacomo Leopardi, di natura è frutto ogni (loro) vaghezza. A nessuno verrebbe in mente di confinare le nuvole o di abbattere il cielo se grandina.  L’aggressività si manifesta tutte le volte che il soggetto, umano o non-umano, si trova a dover difendere una propria prerogativa irrinunciabile. E’ uno dei tanti strumenti comportamentali che sorreggono l’esistenza dell’individuo. L’unico modo per affrontarne le conseguenze è prima di tutto evitare demagogicamente di negarle cittadinanza, poi di conoscerne le manifestazioni sulla base delle circostanze e delle situazioni che la rendono probabile, e sulla base di queste considerazioni trovare il modo per limitare i rischi, quindi trovare delle soluzioni che sappiano indirizzarne l’espressione. Ma già Lorenz aveva capito l’importanza di conoscerla per conviverci, perché negare la realtà è un modo stupido – o forse furbo per chi fa di mestiere il demagogo – per affrontare i problemi.

Benedetta Catalini
Benedetta Catalini
Sono una componente della redazione che si occupa di inserire i contenuti di Roberto Marchesini all'interno di questo blog. Auguro a tutti Voi una buona lettura!
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