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L’Altruismo nel mondo animale

L'altruismo tra gli animali

Vi siete mai imbattuti in una scena in cui un animale aiuta un suo simile in un momento di difficoltà? Tempo fa fece scalpore un video nel quale si vedeva un delfino portare sul dorso un suo compagno che – non ne sappiamo i motivi – non riusciva più a nuotare e quindi ad emergere per respirare. Dalle immagini era palese che il delfino stava cercando con tutte le sue forze di salvare la vita ad un proprio simile tramite un atto che non è sbagliato definire altruistico.

Il mondo animale a ben vedere è costellato di questi fenomeni di aiuto disinteressato che testimoniamo una cosa molto semplice: gli animali non sono macchine ma esseri viventi in grado di provare un ampio ventaglio di emozioni compresa l’empatia. Da dove deriva però l’altruismo in modo specifico? Proviamo a leggere questo fenomeno con la lente dell’etologia. Intorno al comportamento di aiuto si è sviluppato un ampio dibattito nel mondo dell’etologia e della biologia perché tale carattere– definito come comportamento che tende ad aumentare il numero dei discendenti di un altro individuo a scapito della propria sopravvivenza e riproduzione – di fatto sembra cozzare contro i fondamenti stessi dell’evoluzione.

Infatti se il motore dell’evoluzione sta nella capacità riproduttiva ovvero, per ogni specie, lasciare il maggior numero di discendenti possibile, è evidente che un comportamento altruistico può dare al soggetto solo un abbassamento del potenziale riproduttivo e nel tempo tale carattere svantaggioso dovrebbe inevitabilmente scomparire.

Quello che può sorprendere in una lettura del comportamento dominata dalla legge inflessibile dell’egoismo riproduttivo è la presenza di comportamenti di aiuto e di sostegno dispendiosi, come le cure parentali, o addirittura rischiosi, come il soccorrere un compagno da un attacco di un predatore. Questi comportamenti sono normali nella vita sociale di molti mammiferi, ampiamente documentati nelle comunità di bufali, rinoceronti, elefanti, dove il gruppo si attiva per salvare il compagno in difficoltà. In tali circostanze ogni individuo della comunità di fatto si espone a un rischio che potrebbe tranquillamente evitare. Non è raro che tali episodi di solidarietà arrivino spesso a travalicare i confini della specie, con adozioni di cuccioli di altra specie o con comportamenti di aiuto e soccorso a eterospecifici.
Esempi di comportamenti di aiuto:

Soccorrere. Nei delfini e altri cetacei è consuetudine soccorrere il soggetto in difficoltà aiutandolo attivamente con il corpo a raggiungere la superficie dell’acqua per respirare.

Aiutare. Negli elefanti quando un giovane rimane intrappolato in una pozza di fango o deve percorrere una pista in salita gli altri del gruppo lo spingono con la testa e con la proboscide.

Salvare. Nei bufali quando un soggetto giovane o infermo viene attaccato dai leoni l’intero gruppo si schiera a muro contro il predatore.

Avvisare. In molte specie, quali cercopitechi, marmotte, manguste, suricati esistono delle sentinelle che vocalizzano quando si presenta un pericolo e così facendo si rendono più vulnerabili.

Adottare. Nei licaoni, nei lemuri e in alcuni primati quando un cucciolo perde la madre un’altra femmina adulta lo adotta e gli somministra cure parentali.

Collaborare. In molte specie come i gruccioni e i lupi alcuni individui fungono da helper ovvero rinunciano alla loro riproduzione per accudire i giovani del gruppo.

Stornare. In alcune specie, come l’usignolo e il corriere, i genitori attirano su di loro le attenzioni del predatore allontanandolo dal nido.

Richiamare. Poco tempo fa i giornali hanno riportato un fatto di cronaca esemplare, dove un cane è andato a chiamare soccorsi per salvare un altro cane caduto in un canale.

Una spiegazione avanzata è quella della reciprocità, ovvero la possibilità che un comportamento apparentemente dispendioso per l’individuo in realtà sia regolato da vincoli propri della struttura sociale di una specie o di una comunità. Molte specie vivono in gruppo o rinsaldano i ranghi in caso di pericolo perché così facendo stornano il predatore. In altre situazioni l’altruismo è in realtà cooperazione. L’uccello detto “gola nera”, che accompagna i tassi e gli uomini presso i nidi di api selvatiche facilitando il loro compito di saccheggio, ha tutto da guadagnare perché poi può usufruire dei resti. Un altro modello che sempre più si fa strada tra gli etologi quando si tratta di spiegare eventi altruistici espressi da mammiferi e da uccelli è dato dalla motivazione epimeletica ovvero dalla tendenza del soggetto a rispondere con comportamenti parentali tutte le volte che si renda riconoscibile una segnaletica infantile (gli occhi lucidi, la fronte tonda, etc). La dimensione epimeletica è cioè un ambito che si rende disponibile per favorire i processi di interazione propri della vita sociale degli animali.

Le adozioni transpecifiche, ossia l’allattamento di cuccioli di altra specie, sono ampiamente documentate in letteratura etologica, con cagne che allattano gattini, femmine di gorilla che coccolano cuccioli di cane, etc. Il perché sta proprio nell’universalità del linguaggio et-epimeletico, capace talvolta di superare le barriere tra le specie e di dar luogo a situazioni paradossali come l’adozione da parte di un predatore del cucciolo di una preda abituale: è il caso della leonessa che materna un piccolo di impala. I casi di bambini adottati da eterospecifici fanno parte della tradizione di molte culture e spesso costituiscono il nocciolo stesso dei miti fondatori, si veda per esempio la lupa capitolina che cresce i gemelli Romolo e Remo. Ma l’esperanto et-epimeletico coinvolge un altro aspetto della vita dell’uomo che ha avuto un’importanza storica rilevantissima e che tuttora rappresenta un motore potente nelle nostre scelte quotidiane.

Quando vediamo un cucciolo rimaniamo estasiati per un insieme di caratteristiche: è giocherellone, curioso, interattivo, relazionale, pieno di vitalità ma allo stesso tempo impreciso, scoordinato, pasticcione. In una parola il piccolo è buffo e gradevole e in questo cocktail di qualità d’appeal sa muovere in noi la tenerezza. Ma cos’è questo stato mentale che frettolosamente chiamiamo tenerezza?

La tenerezza non è altro che l’accensione nella nostra mente della motivazione epimeletica, uno degli orientamenti comportamentali più potenti e profondi che la specie umana presenti, cosicché il poter mettere in atto un comportamento di cura ci dà una robusta gratificazione. Questo è stato il motore che ha avviato, probabilmente 50.000 anni fa, la domesticazione del lupo, primo passo di una sequenza innumerevole di affiliazioni che ha dato luogo a quella collezione di animali domestici che hanno reso possibile la rivoluzione del Neolitico e la successiva nascita delle grandi civiltà e che ancora oggi influenzano la nostra dimensione di uomini. Tra l’altro il maternaggio, vale a dire l’allattamento al seno, richiede un coinvolgimento molto profondo della madre, in primis l’accettazione del cucciolo, ossia un riconoscimento di status, che non può essere realizzato al di fuori di una disposizione epimeletica. Ancora oggi in moltissime culture, per esempio nei Papua della Nuova Guinea e nei Boscimani, è pratica comune il maternaggio di eterospecifici. Se provate a fare una ricerca on line troverete immagini bellissime di donne che allattano contemporaneamente il loro bambino e un cucciolo di maiale o una scimmietta: anche questo è altruismo!

Benedetta Catalini
Benedetta Catalini
Sono una componente della redazione che si occupa di inserire i contenuti di Roberto Marchesini all'interno di questo blog. Auguro a tutti Voi una buona lettura!
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