
Se mettiamo insieme la vocazione collaborativa del cane con il suo bisogno di sentirsi parte di un gruppo comprendiamo che molto spesso noi equivochiamo il desiderio relazionale del cane, pensandolo esclusivamente in termini di affettività o di performatività. Agire insieme è qualcosa che va oltre il semplice scambiarsi affettuosità o compagnia come peraltro il solo mettere in atto una prestazione. Collaborare all’interno di una squadra significa sentirsi in ogni circostanza come un gruppo che vive e opera insieme, che condivide cioè tutte le situazioni del vissuto senza porre dei limiti a questa partecipazione. Per questo la sensazione che si riceve nella convivenza con un cane è sempre quella di non essere all’altezza della sua dedizione.
Il cane ci sovrasta nella socialità, oltrepassa il nostro esile altruismo e ci spiazza, perché noi umani siamo di gran lunga più individualisti di lui. Non saprei come altro chiamare questo essere sempre in noi se non con il termine di “amore”, ma un amore attivo, lontano dagli egoismi che ci caratterizzano, una dimensione di piena presenza: noi siamo sempre nei pensieri del nostro cane.
Per tale motivo l’abbandono rappresenta qualcosa di incomprensibile e tragico per il cane. Abbandonato rincorre la macchina che lo ha lasciato sul ciglio della strada o fa le feste alla persona che lo ha lasciato solo. Non c’è rancore in lui ma desiderio di ritrovare il piacere della condivisione operosa della vita. Ogni momento è una preparazione allo slancio attivo nel mondo. Anche gli scambi di affettività diventano propedeutiche di accordo, consolidamento di legami, schemi di concertazione operativa. La dedizione al gruppo per il cane non è rinuncia di sé, limitazione del proprio spazio di vissuto, ma, al contrario, è piena realizzazione del sé, tripudio di vissuto. E allora non ci sono parole perché fatichiamo a circoscrivere e delineare questa totalità che non si lascia descrivere proprio perché coinvolge ogni aspetto della vita del cane.
Il cane sembra sempre in credito di relazione, non è possibile non sentirsi in qualche modo debitori nei suoi riguardi e siamo sempre noi i primi a stancarsi nelle attività collaborative con lui. Questo significa peraltro che, se è vero che la relazione con un cane rappresenta una delle più belle esperienze della vita, è altresì evidente che comporta un bel carico di responsabilità. Il cane ci guarda attentamente, sembra studiarci o comunque aspettare qualcosa da noi, e lo fa pressoché in modo continuo. Sdraiato nella sua cuccia o mentre sembra sonnecchiare o, ancora, quando gioca con la pallina… il cane non ci perde mai d’occhio.
Per un animale caratterizzato da una socialità collaborativa così accentuata conoscere i propri compagni di squadra è la prima delle esigenze. Per questo non ci si deve meravigliare se il cane anticipa sempre le nostre azioni, lui dopo un po’ ci conosce meglio di quanto noi stessi ci conosciamo. Se sembra capace di preveggenza o di leggere il pensiero, è solo perché sa interpretare perfettamente i nostri movimenti: quando ci alziamo dal divano per uscire il cane si mette a saltellare in preda all’entusiasmo più sfrenato, se viceversa ci alziamo per andare in bagno non ci degna nemmeno di uno sguardo. Sono convinto che se mi facessero vedere un filmato dove sto eseguendo azioni che anticipano una certa attività – per esempio: mi alzo dalla sedia, smetto di scrivere al computer, ripongo gli occhiali, etc – il mio cane saprebbe interpretarle nel modo giusto, ossia agirebbe di conseguenza, al contrario io non saprei rispondere su cosa mi sto accingendo a fare.
La relazione è pertanto per il cane una sorta di palestra di concertazione, il luogo cioè dove ci si conosce e si approfondisce l’intimità fino nei meandri meno accessibili della personalità, per costruire quella sintonia che sta al centro della collaborazione. Per collaborare infatti è necessario essere perfettamente allineati, sapere sempre la posizione del tuo campagno nel campo di gioco, capirsi al volo attraverso una comunicazione ridotta al minimo, aver maturato degli schemi di gioco che consentano triangolazioni perfettamente sincroniche, essere in grado di complementarsi.
La collaborazione è un’arte complessa. Non basta desiderarla o declamare i propri intenti collaborativi. Per collaborare è necessario un duro lavoro esercitativo, una palestra diuturna di prove e controprove, ma per farlo è necessario esserne motivati. Questo è il grande segreto del cane. Si sforza ma non è un compito, s’impegna ma non è una costrizione: è solo l’espressione del suo talento sociale. Attraverso lo sguardo, la relazione, l’affettività e il gioco il cane esercita l’allineamento, cerca la sintonia e purtroppo sovente deve arrendersi di fronte all’accidia e al disinteresse del suo compagno a due zampe.