
Mi capita spesso durante convegni o conferenze che mi vengano rivolti quesiti che definirei di “etica liminale” vale a dire caratterizzata dal porre problemi che assumono caratteristiche ovvero scacchi differenti a seconda del prospetto con cui li si guarda. Sono liminali proprio perché presentano contorni sfumati e tuttavia apparentemente sembrano ben definiti, come la linea che divide una frontiera o i contorni di una cellula. Faccio subito un esempio. Per chi ha fatto la scelta di non alimentare l’industria dello sfruttamento animale è indiscutibile che per un minimo livello di coerenza si debba fare una scelta vegana. Nulla può infatti giustificare l’attenzione rispetto al benessere di alcuni animali, come i cani o i gatti, e per converso l’incentivo al maltrattamento di milioni di animali negli allevamenti.
D’altro canto chi valuta attentamente le caratteristiche zoologiche ed etologiche di un cane o di un gatto sa perfettamente che si tratta di animali inquadrati tassonomicamente come carnivori e dal profilo comportamentale profondamente impregnato di motivazioni che hanno a che fare con il comportamento venatorio. Pertanto è indubbio che coloro che ritengano che la natura vada rispettata per le sue intrinseche caratteristiche e che ogni alterazione debba essere considerata come abuso e maltrattamento, consideri il rispetto per la natura specie-specifica come l’unico modo per evitare arbitri antropocentrici.
Quando queste due prospettive collidono nel problema su come alimentare il proprio cane si viene a creare una situazione di etica liminale, dove non si tratta più di scegliere il male minore o un eventuale saldo positivo delle conseguenze, ma di operare un confronto tra due prospettiche altrettanto legittime. Chi ritiene che questo problema sia di facile soluzione propendendo per l’una o per l’altra scelta pecca di estrema faciloneria o, meglio, sta inquadrando il problema non sotto un’attenta disamina di tutti gli aspetti ma si limita a enunciare un sentimento etico.
Cosa intendo per sentimento etico? Intendo quelle valutazioni che hanno a che fare non necessariamente con dei preconcetti o delle tautologie, quanto piuttosto con altre concatenazioni valoriali che per così dire illuminano maggiormente un lato del liminale rendendo apparentemente più fondato o coerente il dirigersi verso un campo della frontiera. Addirittura possiamo trovarci casi dove il problema non viene neppure messo in discussione.
Per esempio chi ha fatto della scelta vegan il proprio principio di vita sarà inevitabilmente propenso a credere che in fondo, se non si pongano problemi di carattere nutrizionale o se sia possibile correggere con aggiunte di sintesi eventuali elementi carenziali, non ci sia nulla di male o addirittura si debba perseguire la scelta vegana per il proprio cane. Chi, al contrario, ritiene che la scelta ovvero il principio di coerenza della scelta possa-debba applicarsi all’ambito individuale, un po’ come la scelta religiosa, e si debbano rispettare le prerogative singolari di ciascuno, inevitabilmente riterrà che la scelta vegan assunta lo riguardi e non possa-debba essere applicata a qualcun altro, soprattutto se questo qualcuno manifesti in modo inequivocabile prerogative singolari tutt’altro che in linea con la scelta vegan.
Pertanto quando mi viene chiesto quale sia la scelta giusta devo rispondere in tutta onestà di non sapere quale sia perché tutto dipende dalla prospettiva che si sceglie nel double face dell’etica liminale. A chi mi chiede se da un punto alimentare si possa nutrire il cane in modo vegano posso rispondere che probabilmente si può, ma non saprei dire se questa scelta sia indiscutibilmente corretta da un punto di vista etico. Io personalmente non ho mai alimentato in modo vegan i miei cani, ma non per una certezza etica quanto perché tendo a propendere per quel lato che ritiene le prerogative singolari dell’individuo prevalenti, vale a dire seguendo il mio sentimento etico.
Vorrei peraltro fare un’ulteriore valutazione. Quando si parla di coerenza in etica a mio avviso si commette una violenza all’etica stessa. Ogni scelta etica apre ferite di incoerenza in chi la compie proprio per l’orizzonte plurale di valori e controfattuali che fa emergere. Scegliere per esempio di evitare di uccidere o di far soffrire un essere vivente porta a una progressione all’infinito che disarma da qualunque tentativo di porre coerenza attraverso argini, fino al paradosso che per evitare di far soffrire qualcuno si dovrebbe porre fine alla propria vita. Ma anche in questo caso saremmo incoerenti perché faremmo del male a qualcuno, cioè a noi stessi. Ovvio che chi non si pone problemi e pensa solo al proprio benessere manifesti una coerenza cristallina: questo solo fatto dovrebbe farci riflettere sull’utopia di una coerenza in etica.
( da: “il cane vegan? Riflessioni di etica liminale”, Gallinae in fabula)