
La mantide religiosa è indubbiamente un animale di grande fascino e il suo nome, non a caso, è evocativo del mistero che aleggia intorno alle sue forme e al suo comportamento. La parola “mantide” deriva infatti dal greco e significa “indovino”, “preghiera” riprendendo la postura che questi animali assumono con le zampette anteriori e che richiama appunto, un atteggiamento di preghiera.
La mantide religiosa è la mantide europea più comune del vasto ordine delle Mantodea, insetti pterigoti diffusi principalmente nelle aree tropicali. Possiedono un esoscheletro fragile, che mostra però splendide architetture che permettono a questi insetti di mimetizzarsi con l’ambiente, con le foglie, con gli stecchi. Si tratta spesso di un mimetismo criptico, dove l’animale si confonde con ciò che lo circonda per sfuggire ai predatori!
All’interno delle zampe anteriori – definite «raptatorie» proprio perché utilizzate per arpionare le prede – la mantide presenta due macchie nere che possono sembrare due occhi. Il meccanismo è sempre lo stesso: spaventare per salvare la pelle. Esattamente come molte farfalle, che hanno sulle ali dei falsi occhi che utilizzano per difendersi: dispiegando le ali, la farfalla sorprende l’ignaro uccello insettivoro che si ritrova in primo piano la maschera di un predatore. La mantide però non si ferma a questo. Oltre ai falsi occhi apre le ali e comincia a farle vibrare emettendo un fruscio che ricorda il soffio, altro segnale orrifico particolarmente in voga perché mima il serpente. Il soffio infatti è utilizzato da diversi animali, come il gatto e la civetta. Non c’è dubbio che l’intento è raggiunto!
Ma l’aspetto più curioso della mantide religiosa è sicuramente l’accoppiamento. Durante gli anni universitari ebbi modo di osservare circa un centinaio di accoppiamenti, fotografandone le diverse fasi e raccogliendo i dati circa le modalità in cui si svolgevano. Nonostante le dicerie, non è vero che ogni accoppiamento si risolve con la famosa decapitazione del maschio anzi, direi che un buon 60% degli accoppiamenti da me visti non si sono conclusi in modo esiziale.
Innanzitutto va detto che il maschio prima dell’accoppiamento fa un curioso balletto ondulatorio, che sembrerebbe dettato da un’indecisione tra due tendenze, quella di accoppiarsi e quella di fuggire… un po’ come si dice avvenga nella danza nuziale dello spinarello. Dopo di che letteralmente vola sopra il corpo della grande femmina, stuzzicandone prima i cercini addominali – una sorta di preliminare che non sempre viene effettuato, ma che a mio avviso accresce le chance di sopravvivenza del maschio. L’accoppiamento può durare un pomeriggio intero e all’inizio tendevo a distrarmi, con il risultato disastroso che quando tornavo sul soggetto trovavo il maschio senza testa ancorato alla femmina. Mi ero perso il momento clou e andavo su tutte le furie con me stesso!
Come descritto nella letteratura entomologica, la mantide affida tutte le sue speranze di sopravvivenza all’ooteca, una sorta di astuccio che lei prepara emettendo un liquido colloso dall’addome e insufflando aria al suo interno, montandolo cioè come il bianco dell’uovo attraverso i due cercini addominali e inserendo le sue uova lungo una serie di arcate trasversali alla lunghezza dell’ooteca. L’astuccio all’aria si solidifica e diventa di una consistenza simile a una spugna, ma molto resistente e capace di tenere al riparo le preziose uova per tutto l’inverno. Costruire l’ooteca è molto dispendioso per la femmina che deve assicurarsi tutte le risorse possibili: in altre parole, la mantide trasforma il maschio nella casa dei suoi piccoli, per cui abbiamo poco da lamentarci noi maschietti umani se dobbiamo pagare le rate del mutuo, per i mantidi va decisamente peggio.
Il maschio senza testa continua comunque imperterrito nella sua copula, e anzi migliora le sue prestazioni. Il motivo è molto semplice: nella testa ci sono dei gangli inibitori che vengono messi fuori uso dalla decapitazione… insomma molto meglio dei nostri intrugli disinibitori. E comunque un maschio senza testa non va lontano dopo la copula e può essere consumato in tutta tranquillità!
Osservando gli accoppiamenti anche io potei assistere al macabro rito del cannibalismo nuziale: il maschio non ancora decapitato tocca continuamente le antenne della femmina come se si svolgesse tra loro una lunga disquisizione tattile e a quel punto non può permettersi la benché minima disattenzione. Le antenne sembrerebbero svolgere un’azione distraente o comunque tranquillizzante sulla femmina e forse non è un caso se i maschi hanno le antenne molto più lunghe delle femmine, in modo tale da consentir loro, durante l’accoppiamento, il contatto antenna con antenna. Ad ogni modo, in certe situazioni la femmina volta la testa e comincia a rosicchiare quella del maschio fino alla prima parte del torace. Il maschio non può far altro che subire l’amputazione e continuare la sua opera fecondatrice. Dopodiché viene in genere – perlomeno per quanto ho visto nelle mie osservazioni – consumato quasi interamente.
A volte il maschio non arriva nemmeno alla copula: viene scambiato per una qualunque preda e, afferrato dalla femmina, viene immediatamente consumato non dopo una strenua lotta. È pur sempre una mantide!
Durante i miei anni universitari, osservare le mantidi era una delle cose che amavo maggiormente fare. Devo ammettere di esser sempre stato particolarmente legato a questo animale tanto da sceglierlo come immagine di copertina della mia autografia. Insomma, posso ammettere che la mantide è il mio animale totemico, il mio avatar non umano. Osservavo le mantidi all’Orto Botanico di via Irnerio, un vero e proprio paradiso nel cuore di Bologna, a due passi dalla facoltà di Veterinaria e da quella di Agraria. Le vedevo attendere per ore abbarbicate accanto ai fiori di senecio per poter catturare un’ape o una cavolaia, oppure qualche incauta tettigonia. Le femmine sono molto più grandi dei maschi che appaiono più longilinei, più agili nel volo e con le antenne più lunghe. La predazione di una mantide religiosa è impressionante per la velocità con cui cattura la preda e la lentezza con cui la divora in minuti bocconi, partendo casualmente dalla parte del corpo più a portata di bocca.
Gli insetti hanno un sistema nervoso costituito da gangli diffusi lungo l’asse centrale del corpo, ciascuno in qualche modo indipendente dall’altro, cosicché la povera preda continuava ad agitarsi per tutto il tempo in cui veniva per così dire consumata. La piccola bocca della mantide veleggiava sul corpo della preda come se stesse facendo un ricamo, erodendolo con un andamento semicircolare, ritornando sempre al margine di partenza.
Osservare il pasto vivo della mantide religiosa dava un senso di vertigine, la sensazione di essere sospeso di fronte a un quesito irrisolvibile che ti gravitava, ma provavo un senso di vergogna nel guardare, come se assistere – e per di più fotografare – volesse dire farsi complice di quello scempio. C’è sempre un po’ di voyerismo nell’osservare una predazione, la sensazione di partecipare a quel dramma quasi fosse una festa sadica, con un mix di stupore e di orrore che t’incatena in quegli attimi, laddove una vita finisce.