
Perché parliamo di insetti? Gli insetti ti portano nel mondo dei fiori, ti legano a doppio filo alle piante, ti fanno apprezzare i mesi che da aprile a ottobre ti regalano sequenze tonali e coreografie di sfumature ben caratterizzate, te le fanno godere portandoti nel loro mondo, strappandoti dall’omologazione, da quel troppo umano fatto di una realtà sempre uguale e senza sorprese, priva della magia delle stagioni. Rincorrere gli insetti significa immergersi in una dimensione inusuale, fatta di schemi morfologici e biomeccanici nonché di illusioni ottiche e giochi cromatici che non hanno eguali nella nostra realtà.
È in tutto e per tutto un altro mondo e non solo per la morfologia dell’insetto, ma per il contesto col quale necessariamente ci si trova a dover fare i conti. Fotografare un’ape, per esempio, significa avere in primo piano il disegno radiale di un fiore, dettagliare sulle screziature opalescenti di una rosa canina, seguire la topografia complessa delle nervature di una foglia, perdersi in geometrie ricorsive di verde. L’insetto è parte integrante in una metropoli vegetale che ne dimensiona l’esistenza, si muove in una New York frenetica piena di rischi e di opportunità; e quando ti affacci su questo mondo inevitabilmente diventi anche tu un po’ insetto.
È per questo che fin da piccolo amo gli insetti in un modo particolare e prima che etologo mi piace pensarmi come entomologo, ovvero come studioso del mondo del micro, del mondo degli insetti. Quello che più mi affascina è la caratteristica di alcuni di loro di vivere insieme come fossero un macro-organismo che agisce per il bene di tutti trascendendo le singole individualità. Si tratta degli insetti sociali, ordine formato dagli isotteri, meglio note come térmiti e gli imenotteri, che comprende vespe, api, bombi, xilocope nel grande popolo degli apidi, vespe, poliste, calabroni in quello dei vespidi e le formiche.
Ricordo che a tre anni ero già un etologo in erba o, meglio, in mezzo all’erba: sempre sporco di fango, completamente conquistato da quei piccoli esserini che si muovevano in un microcosmo fatto di frenesia e colori. I miei primi interessi furono rivolti alle formiche e ai formicai: a due anni ne andavo letteralmente pazzo, al punto di ostinarmi a trasferirne in casa intere colonie. Le formiche attraggono in genere i bambini, non so se per quella proiezione che già Gianni Rodari interpretava nel «sentirsi simili all’animale» o perché si gattona e si vede il mondo da un’altra prospettiva. Sei vicino alla terra, la senti con le mani, ti soffermi verso quel mondo fatto di fessure nel pavimento, di piccole crepe, di pertugi misteriosi e di erba. Per guardare in alto dobbiamo prima concentrarci per terra! Affascinanti le formiche nella loro numerosità, nei lunghi plotoni che marciano in fila indiana lungo rotte invisibili ma precise, fortemente desiderate le coccinelle per la loro rarità, per quello spiccare improvviso come una bacca tra le foglie verdi. Gli afidi erano il punto d’incontro tra questi due mondi. Le formiche si nutrono, infatti, della “cacca” degli afidi, la melata; le coccinelle al contrario si fanno scorpacciate di afidi.
Interessi diversi rendevano così i miei due beniamini ostinati belligeranti che si combattevano con tutte le loro micro armi. Le formiche allevano amorevolmente gli afidi per poi mungere la loro cacca, che in realtà altro non è che un liquido zuccherino di cui gran parte degli insetti va pazzo, dalle mosche alle vespe; anche le api non disdegnano di fare bottino di questo liquido appiccicoso, lo raccolgono persino quando è depositato sulle foglie, trasformandolo in un miele dal colore brunito che, per l’appunto, prende il nome di «miele di melata». Tuttavia, a dispetto delle forme graziose, la coccinella è in realtà un terribile predatore, amato dai giardinieri proprio per la sua capacità di contenere i parassiti delle piante. D’altro canto che non ci fosse una particolare simpatia tra le formiche e le coccinelle me ne ero accorto già da bambino.
La coccinella visita i germogli delle piante, dove è più facile che s’insedino gli afidi, con un andamento verticale va su e giù come un ascensore che ha il compito di visitare tutti i rametti. Appena incontra un gruppo di afidi, la coccinella si ferma a desinare. È facile allora osservare le formiche che accorrono in difesa della loro mandria cercando di scalzare quel piccolo carro armato che è per l’appunto la coccinella. Obiettivo: gettarla giù dal ramo. Ma non è facile. Sono duelli incruenti ma non per questo meno appassionanti.
Presto però mi accorsi che il mondo delle vespe, altro insetto sociale per eccellenza, mi offriva un numero maggiore di osservazioni: innanzitutto oltre a raccogliere nettare la vespa è predatrice, perché nutre le proprie larve con la carne, poi il loro comportamento è molto più battagliero ed esposto.
Per esempio le vespe polistine – quelle più comuni che fanno il nido nell’incavo delle finestre o vicino ai cancelli – vivendo su favi esposti mi permettevano di fotografare un gran numero di comportamenti, quali il passaggio di cibo tra le operaie (la trofallassi), l’aerazione del favo attraverso lo sbattere d’ali, la nutrizione delle larve, lo sfarfallamento delle pupe.
Mentre le api formano società pluriennali, la comunità delle vespe resta in vita un solo anno. Le femmine fertili sfarfallano in tarda estate dalla comunità insieme ai maschi e in questo periodo avviene la fecondazione aerea, dopodiché cercano un rifugio per l’inverno per andare in uno stato ibernale. La primavera successiva ciascuna femmina costruirà una nuova colonia, cercando un luogo adatto per il nido e costruendo il primo favo che darà avvio alla colonia di operaie. Dopo le prime fatiche edificatorie, la regina si occuperà solamente di deporre uova per la crescita della società, avvalendosi delle operaie per tutto il lavoro di costruzione, bottinamento, pulizia, nutrizione delle larve. La colonia precedente va in disfatta col sopraggiungere dei primi rigori autunnali, cosicché ogni primavera le vespe devono ricominciare daccapo il loro lavoro, avendo a disposizione ben poco tempo.