Un filo diretto con l'etologia cognitiva e relazionale

Filosofo, etologo e zooantropologo.
Da oltre vent’anni conduce una ricerca interdisciplinare volta a ridefinire il ruolo degli animali non umani nella nostra società.
Direttore del Centro Studi Filosofia Postumanista e della Scuola di interazione uomo-animale (Siua), è autore di oltre un centinaio di pubblicazioni nel campo della bioetica animale, delle scienze cognitive e della filosofia post-human.
È inoltre direttore della rivista “Animal Studies”, la Rivista Italiana di Zooantropologia (Apeiron).

Altre preistorie

altre preistorie

di Massimo Sandal

Tutto comincia con una pietra. In questo caso, con una pietra di arenaria piatta e solida come un’incudine. La scimmia cappuccina mette la noce al suo centro. Afferra un’altra pietra, rotonda e massiccia, e la sbatte con forza sul guscio. È un movimento fluido e netto, sicuro perché ripetuto innumerevoli volte. La noce non si rompe, la scimmia la rimette a posto, ripete il gesto, con calma ostinazione, finché il guscio si spacca.

Da quanto tempo va avanti questa scena? Di norma quando osserviamo il comportamento degli animali non pensiamo alla dimensione temporale. La cicogna che fa il nido lo fa da milioni di anni, sempre allo stesso modo. Ma molti degli animali che usano strumenti – specialmente i primati: scimpanzé, umani, macachi, scimmie cappuccine – lo fanno per trasmissione culturale. Si sono tramandati questo costume tramite le generazioni. Quante? E come sono cambiate le loro culture? Quali storie – o meglio preistorie, per l’assenza di scrittura – hanno affiancato e affiancano, tuttora, la nostra?

Il monolite preso a sassate

Delle cose che cominciano con una pietra, la prima che consideriamo è la cultura umana (dove per umano qua si intende, alla larga, un po’ tutto quello che sta sulla complicata rete evolutiva di quelli che gli scienziati classificano come Omininae, o ominini). I primi strumenti di cui abbiamo notizia nella nostra storia sono le pietre – probabilmente c’erano anche strumenti in legno o altri materiali deperibili, ma non ne sappiamo nulla. Sono strumenti umili, i primissimi sassi scheggiati che Mary Leakey ritrovò nella gola di Olduvai in Tanzania, o quelli ancora più antichi di Lomekwi in Kenya, eppure da lì parte un filo ininterrotto che arriva all’Apollo 11.

Per molto tempo abbiamo pensato che la capacità di superare i limiti fisici del nostro corpo creando strumenti – se vogliamo, la prima forma di transumanesimo – fosse la linea rossa che ci separava dal resto della vita sulla Terra. Il culmine di questa visione fu forse 2001 di Stanley Kubrick e Arthur C. Clarke, in cui un monolito nero porge a un gruppo di “pre-umani” la capacità di usare strumenti quale scintilla preternaturale che li separerà dalle altre forme di vita, rendendoli padroni del mondo.

Anche questo privilegio antropocentrico ci è stato strappato, come altri, dall’osservazione della natura. Ironia della sorte vuole infatti che questa concezione venisse abbattuta proprio negli anni ’60 in cui il capolavoro di Kubrick prese forma, quando Jane Goodall descrisse il modo in cui scimpanzé scelgono e adattano dei rametti allo scopo di estrarre termiti dai formicai. Più avanti avremmo scoperto che l’uso di questi strumenti in molti casi non è un istinto fissato, ma culturale: si tramanda nelle generazioni. Scimpanzé che vivono di qua o di là da un fiume possono avere culture diverse, usare o meno strumenti, usarli in modo differente, o avere altre abitudini; lo stesso vale per altre specie come gli orangutan.

I monoliti di Kubrick possiamo seppellirli sotto i sassi che gli scimpanzé della Guinea usano per spezzare i gusci di noce. Ma le pietre sepolte hanno un’altra caratteristica. Restano.

Schliemann nella foresta

La storia dell’archeologia non umana inizia da un albero di Panda oleosa, delle cui noci particolarmente dure si nutrono gli scimpanzé del Parco Nazionale Taï, nella foresta pluviale della Costa d’Avorio. Quell’albero, noto in letteratura scientifica come Panda 100, aveva nutrito gli scimpanzé almeno dagli anni Settanta prima di morire nel 1996. Gli animali, dopo che per decenni avevano sgusciato le noci battendole con strumenti di pietra, avevano abbandonato il sito lasciandosi dietro i loro artefatti.

All’inizio degli anni Duemila tre ricercatori – Julio Mercader, Melissa Panger e Christophe Boesch – hanno l’idea di curiosare attorno a Panda 100. Se per decenni gli scimpanzé si erano radunati a spaccare noci sotto l’albero, perché non provare a esplorare le tracce della loro presenza usando le tecniche che gli archeologi usano per i siti della preistoria umana? Il tesoro di Panda 100 non è quello di Priamo, ma i tre devono essersi sentiti come Schliemann a Troia quando hanno recuperato dagli strati quasi 40 chili di gusci di noce e 4 chili e mezzo di ciottoli fratturati, più sei rocce usate come incudine. Era la prima volta che si scavavano e classificavano reperti archeologici di una specie chiaramente non umana.

Può far sorridere sentir parlare di “archeologia” riferendosi a sassi usati qualche anno fa da qualche scimmia. Eppure se non avessero saputo perfettamente di trovarsi di fronte a un sito che era stato abitato da scimpanzé, un archeologo naïf avrebbe potuto credere a un prezioso, antico insediamento della preistoria umana. Nelle loro parole:

I sottoprodotti litici della rottura di noci da parte degli scimpanzé ricadono nello spettro di dimensioni e conformazioni osservati in un sottoinsieme del repertorio tecnologico dei primi ominini […] Gli scimpanzé esercitavano attività culturali la cui documentazione archeologica mima alcune occorrenze dell’Olduvaiano.

Gli scimpanzé non sono gli unici primati a creare strumenti “umanoidi”. La questione si fa ancora più spinosa quando si considera che le scimmie cappuccine producono schegge di pietra: qualcosa che finora si pensava facessero solo gli ominini del Pleistocene. Va detto che i nostri antenati lo facevano per creare strumenti affilati, mentre nel caso delle cappuccine sembra un sottoprodotto del modo in cui sbattono pietre tra loro per leccare la polvere che ne deriva (non è ancora chiaro perché lo facciano). Resta il fatto che distinguere le schegge di pietra dei primi ominini da quelle cappuccine è assai difficile.

Questo ci dice due cose. Primo, che gli strumenti che abbiamo interpretato come “umani” non sono necessariamente tali. Secondo che, viceversa, se i nostri antenati hanno prodotto questi strumenti, non erano per forza così speciali: forse, a livello cognitivo, non erano molto diversi dagli scimpanzé che rompevano le noci di Panda 100.

E se quelli degli scimpanzé o delle scimmie cappuccine fossero comportamenti recenti, imitazioni dovute alla convivenza con l’uomo? Obiezione respinta nel 2007, quando nel sito di Noulo, sempre nella foresta di Taï, vengono scavati reperti analoghi a quelli di Panda 100, ma risalenti a 4300 anni fa, ben prima che gli esseri umani si insediassero in quella zona. Numerosi indizi escludono che si tratti di reperti umani (a partire dalla dimensione delle rocce: gli scimpanzé hanno mani più grandi e un’incredibile forza, e scelgono quindi rocce più grandi e pesanti rispetto agli esseri umani). I reperti di Noulo ci insegnano che:

La “Età della Pietra degli Scimpanzé” è iniziata almeno 4300 anni fa, che il tratto comportamentale di rottura delle noci con pietre è stato trasmesso lungo più di duecento generazioni, e che la cultura materiale degli scimpanzé ha una lunga preistoria le cui radici stiamo iniziando a scoprire solo ora.

Gli scimpanzé hanno delle culture, dunque, e non si tratta di mode del momento, collage evanescenti di comportamenti innaturali che nascono e muoiono. Sono tradizioni genuine e, almeno a volte, antichissime. Ci sono popoli di scimpanzé che seguono ancora il filo di una vera Età della Pietra tramandata da millenni. E forse di più.

Tecnologie del medio Cenozoico

Se grazie all’archeologia abbiamo dato una linea temporale alla nostra specie, l’archeologia degli altri primati ci consegna la consapevolezza che anche le altre specie hanno una traiettoria storica. Quanto profonda?

I nostri scavi arrivano a qualche migliaio di anni, ma le varie sottospecie di scimpanzé sono probabilmente più antiche di Homo sapiens stesso. Nell’evoluzione degli esseri umani si parla spesso di “modernità comportamentale”, ovvero il momento in cui i nostri progenitori hanno iniziato a mostrare l’insieme di tratti comportamentali e cognitivi che condividono tutte le società umane – qualcosa avvenuto, per quanto ne sappiamo, ben dopo il sorgere di Homo sapiens come specie morfologicamente definita. Esiste un equivalente per gli altri primati, un momento lungo la loro storia in cui sono diventati “moderni”? Non lo sappiamo. È possibile che quelle dei primati non umani siano di gran lunga le culture più antiche del nostro pianeta: “Ho congetturato che l’uso di strumenti in pietra tra le scimmie cappuccine potrebbe non avere più di 700.000 anni, e che lo stesso comportamento negli scimpanzé dell’Africa occidentale forse ha poco più di 500.000 anni” scrive Michael Haslam dell’Università di Oxford. Anche se poi ci ricorda che “ci possono essere stati numerosi eventi di scoperta, perdita e riscoperta tecnologica”.

Ma è possibile che l’uso di strumenti abbia radici ancora più remote. Grazie ai ritrovamenti archeologici, sappiamo che le scimmie cappuccine usano strumenti in pietra da almeno 700 anni, ma si pensa che possano usarle da molto più tempo, come abbiamo visto sopra. Le scimmie cappuccine sono scimmie del Nuovo Mondo: parenti parecchio lontani di scimpanzé ed esseri umani, separati da qualcosa come 30 o 40 milioni di anni. Nell’ipotesi più estrema, l’utilizzo di strumenti potrebbe essere stato un tratto originario, mantenuto fin dagli antenati di questi due rami separati – una radiazione ininterrotta di culture che affonderebbe le sue radici fin nell’Eocene.

Sarebbe bello se non fosse improbabile, visto che in realtà sono poche le specie che usano strumenti in pietra – per esempio, mentre gli scimpanzé usano strumenti in pietra, i loro parenti stretti bonobo non lo fanno. Più plausibile che si tratti di scoperte indipendenti di popolazioni diverse. Il che non esclude che anche scimmie di 20 o 30 milioni di anni fa possano aver scoperto come usare pietre per spaccare noci o conchiglie, allo stesso modo in cui oggi fanno scimmie cappuccine e macachi. Da qualche parte, in uno strato dell’Oligocene o del Miocene, gli archeologi un giorno potrebbero scoprire i resti della tecnologia più antica della Terra.

Dall’Antropocene al Pitecocene

L’archeologia non umana ci costringe a mettere in prospettiva l’alba della nostra evoluzione. Siamo gli eredi di una linea evolutiva che ha goduto della stessa scintilla cognitiva apparsa più volte lungo tutta la storia dei primati: la nostra fortuna è stata che in noi questa scintilla ha preso fuoco. Per questo, finché ci saremo noi, non ci sarà nessun “Pianeta delle scimmie” a parte il nostro. Sempre secondo Michael Haslan:

Gli ominini hanno riempito la nicchia dei primati cognitivamente avanzati, di grandi dimensioni e che usano strumenti per gli ultimi milioni di anni, cosa che ha avuto un impatto negativo sull’evoluzione di ruoli analoghi nei nostri parenti stretti […] È possibile che siamo noi il motivo per cui gli scimpanzé moderni presentano un basso tasso di evoluzione culturale. La sopravvivenza delle specie di primati in Africa è in qualche modo anche una funzione della loro abilità nel coesistere con gli ominini.

Ciò nonostante, la nostra storia culturale non è più unica. La nostra preistoria è condivisa: è parte di un quadro di preistorie altre, che sono nate e cresciute e morte molte volte nella storia della Terra, e che solo ora iniziamo a svelare. La storia e il senso della nostra specie ha senso solo all’interno di questo quadro. Si parla molto di Antropocene in questo periodo. Forse dovremmo ripensare quest’ultimo vestigio antropocentrico, perché non siamo noi ad aver alterato scientemente il nostro ambiente per primi. Fu la prima volta che una scimmia ebbe l’idea di spezzare una noce mettendola su un sasso e battendola con un altro sasso, che qualcosa cambiò irrimediabilmente nella storia del pianeta. Noi siamo l’espressione ultima di un’era antica, quella del Pitecocene, in cui le scimmie presero nelle loro mani, letteralmente, il proprio destino.

Fonte: il Tascabile

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