Un filo diretto con l'etologia cognitiva e relazionale

Filosofo, etologo e zooantropologo.
Da oltre vent’anni conduce una ricerca interdisciplinare volta a ridefinire il ruolo degli animali non umani nella nostra società.
Direttore del Centro Studi Filosofia Postumanista e della Scuola di interazione uomo-animale (Siua), è autore di oltre un centinaio di pubblicazioni nel campo della bioetica animale, delle scienze cognitive e della filosofia post-human.
È inoltre direttore della rivista “Animal Studies”, la Rivista Italiana di Zooantropologia (Apeiron).

L’arte della seduzione

arte della seduzione
Immagine di copertina: Adrie Hubregtsen

di Francesca Buoninconti

Sono trascorsi cinquant’anni dalla sua prima mostra all’Institute of Contemporary Arts, nel 1957. Dipinse solo per due anni, ma produsse oltre quattrocento quadri e le sue opere finirono all’asta insieme ai capolavori di Renoir e le serigrafie di Warhol.

È la storia di Congo, il “Cezanne delle scimmie”, lo scimpanzé dello zoo di Londra che con i suoi quadri di espressionismo astratto appassionò Joan Mirò e molti altri pittori. Pare che Pablo Picasso appese nel suo studio uno dei quadri di Congo. Salvator Dalì definì la mano di Congo “quasi umana” , in contrapposizione con quella di Jackson Pollock, “interamente animale”.

A iniziarlo alla pittura fu, quasi per gioco, l’antropologo e scrittore Desmond Morris. Congo all’epoca aveva solo due anni, ma dimostrò da subito un certo senso estetico. Impugnava correttamente il pennello, non usciva dai bordi e dipingeva riempiendo tutto il foglio in modo simmetrico ed equilibrato. Come tutti gli artisti aveva qualche vezzo: quando lavorava non voleva essere interrotto per nessuna ragione, almeno fin quando non riteneva la sua opera conclusa.

È così sorprendente che un animale, precisamente una specie che condivide con noi il 99% dei geni, compreso il pollice opponibile, possa dipingere? Assolutamente no. Congo non è stato certo l’unico mammifero non umano a produrre dei dipinti. Ma possiamo considerare “arte” questi dipinti? Possiamo dire che siano il frutto di particolari abilità creative e di immaginazione, con una certa carica emotiva?

L’arte è un’invenzione tutta umana e la sua definizione è cambiata, e continuerà a cambiare: trovare la giusta definizione di cosa consideriamo arte è parte di un dibattito che va avanti da secoli. Se però considerassimo queste opere il frutto di un senso estetico comune, affinato da anni di selezione, allora forse potremo ritrovare un po’ di arte anche in animali molto diversi da noi: gli uccelli.

Nella specie degli uccelli, i maschi hanno affinato doti artistiche e ornamenti per attirare le femmine: piumaggi appariscenti, incredibili capacità canore, tersicoree e architettoniche.

In questa classe di vertebrati sono i maschi i veri artisti, capaci di dar vita a forme di creatività e di espressione estetica percepibili non solo dagli umani, ma anche – e soprattutto – dalle femmine di queste specie. Sono loro, infatti, le “muse ispiratrici” dal gusto raffinato che sceglieranno il partner basandosi solo sulla performance artistica. Performance che, come sappiamo da Charles Darwin, sta a indicare un buono stato di salute e un buon assortimento genetico.

È quindi per una vera opera di selezione sessuale che i maschi hanno affinato doti artistiche e ornamenti: piumaggi appariscenti, incredibili capacità canore, tersicoree e architettoniche. Alle femmine spetta il ruolo di “critiche d’arte”: sono loro che valuteranno l’opera dei maschi, per massimizzare il proprio successo riproduttivo.

Architetti e giardinieri
Gli uccelli giardinieri, bowerbirds, sono una ventina di specie di passeriformi della Nuova Guinea appartenenti all’ordine degli Ptilonorinchidi.

Quando è il momento di trovare una partner, i maschi di queste specie iniziano a costruire pergolati, vialetti e capanne: i bower. Non solo li creano facendo attenzione a rispettare la simmetria, ma li decorano, li allestiscono con penne, piume, conchiglie, fiori, foglie, ghiande, sassi, ossa e persino pezzi di plastica. Ogni elemento viene scelto con cura, rigorosamente di un certo colore o con diverse gradazioni di tonalità, e disposto con un ordine preciso, magari per creare delle illusioni ottiche, come nel caso del grande giardiniere (Ptilonorhynchus nuchalis). A volte questi incredibili architetti arrivano persino a dipingere le pareti dei pergolati con della vegetazione pre-masticata, aiutandosi con il becco.

Ogni specie ha la sua forma di “salottino” – così li definì Darwin al tempo del suo viaggio sul Beagle – ma la sua decorazione è lasciata all’ispirazione dell’individuo, una vera espressione di creatività.

C’è chi ama il bianco, come l’uccello giardiniere occidentale (Chlamydera guttata) che decora il suo “salottino” con sassi, gusci di chiocciole e ossa. Chi invece preferisce il blu come l’uccello giardiniere satinato (Ptilonorhynchus violaceus) che raccoglie elitre di coleotteri, bacche e piume di uccelli, ma anche pezzi di plastica e di vetro tutti blu, da disporre nel suo pergolato per richiamare il colore del suo piumaggio.

Gli uccelli giardinieri sono una ventina di specie di passeriformi. Quando è il momento di trovare una partner, i maschi costruiscono pergolati, vialetti e capanne allestendoli con penne, piume, conchiglie, fiori, foglie.

La costruzione più spettacolare è sicuramente quella dell’uccello giardiniere di Vogelkop (Amblyornis inornata): una capanna alta più di un metro e larga oltre un metro e mezzo. Un’opera di architettura eccezionale, una piccola galleria d’arte che il maschio arreda secondo il suo gusto personale: ogni esemplare crea delle cataste di oggetti colorati che non sono specie-specifici, ma sono pezzi unici, il risultato della creatività individuale. Nascono così nature morte con fiori e frutta, elitre di coleotteri o sterco di animali.

Questi uccelli impiegano settimane per costruire e adornare i propri giardini. Un lavoro duro che spesso fa nascere invidie. Non è raro, allora, che alcuni maschi arrivino a rubare gli ornamenti nel salottino altrui o, approfittando dell’assenza del rivale, a gettare scompiglio spostando rametti e decorazioni, rompendo l’ordine e la simmetria tanto ricercata per far colpo sulle femmine.

Questi bower non hanno tuttavia la funzione di nido (quello lo costruirà poi la femmina). Sono “solo” una prova di abilità e di creatività artistica. Al contrario degli uccelli canori, e soprattutto dei danzatori, dove l’improvvisazione non è ammessa, gli uccelli giardinieri possono – anzi devono – decorare il loro giardino dando sfogo alla propria creatività individuale. E sarà proprio questa a essere valutata dalla femmina, che ispezionerà la costruzione e deciderà se concedersi all’artista giardiniere.

Cantanti
La dote artistica che più caratterizza la classe degli uccelli è sicuramente il canto. A essere pignoli, però, non è tutto “canto” quello degli uccelli: il canto propriamente detto è quello prodotto nel periodo degli accoppiamenti, generalmente fatto di frasi ripetute e melodiose, che si rivela in tutta la sua bellezza e complessità, riuscendo a stupire anche l’uomo. I cantanti più bravi sono in realtà specie dal piumaggio poco appariscente: se non si può puntare sulla bellezza, bisogna puntare su altre doti per conquistare una partner.

Negli uccelli cosiddetti “canori”, il canto è una prerogativa maschile, governata da alcune aree cerebrali che si sviluppano solo nei maschi. È una serenata che serve a sedurre la femmina. E come in tutte le arti, il talento non basta, bisogna studiare. In quasi la metà delle 9.000 specie di uccelli conosciute, il canto è appreso: in un determinato periodo della vita, che varia da specie a specie, i giovani maschi iniziano ad ascoltare e memorizzare il canto prodotto dai conspecifici adulti. Così per prove, tentativi e improvvisazioni apprendono il canto nella sua forma matura. Senza questo studio e soprattutto senza l’esempio degli adulti, il canto si svilupperebbe in maniera anomala e senza lo stesso “dialetto”.

Il “Pavarotti degli uccelli”, almeno in Europa, è l’usignolo (Luscinia megarhynchos), capace di imparare, riprodurre e “mixare” tra le 120 e le 260 strofe differenti nel suo canto, che risuona nelle notti d’estate. Sempre diverso e sempre affascinante, anche per l’orecchio umano, il canto è la dote su cui punta l’usignolo per conquistare la partner, visto che il suo piumaggio è del tutto anonimo, marroncino-grigio, senza nessun ornamento.

In quasi la metà delle 9.000 specie di uccelli conosciute il canto è appreso: in un determinato periodo della vita, i giovani maschi iniziano ad ascoltare e memorizzare il canto prodotto dai conspecifici adulti.

Oltreoceano, invece, la star è il pettirosso americano (Turdus migratorius): il suo canto è costituito da una decina di gorgoglii e fischiettii, molto melodiosi. Ma il pettirosso americano è anche capace di memorizzare e riprodurre strofe appartenenti ai canti di altri uccelli. È un buon imitatore insomma, ma non ai livelli del suo congenere sudamericano, il tordo di Lawrence (Turdus lawrencii).

Anche il tordo di Lawrence non è un campione di bellezza e ha puntato tutto sulle sue doti canore. Non è un gran compositore come il nostro usignolo, preferisce le “cover”: ciascun maschio riesce a riprodurre perfettamente i canti di oltre 50 specie di uccelli, ma anche i versi di alcune specie di rane e di alcuni insetti. I veri fuoriclasse in questo sono però l’uccello lira comune (Menura novaehollandiae) e l’uccello lira del Principe Alberto (Menura albertii). Endemici dell’Australia, questi due passeriformi hanno l’incredibile dote di riuscire a riprodurre i suoni più svariati. Nel periodo nuziale, oltre a sfoggiare la loro bellissima coda a mo’ di pavone, si esibiscono in veri e propri medley. Riescono a riprodurre qualsiasi suono abbiano sentito almeno una volta nella loro vita: dal rumore di una motosega al suono di un antifurto, dall’esecuzione completa di arie per flauto al rumore delle esplosioni. Un mix di imitazioni talmente veritiere da sembrare delle registrazioni. Ascoltare per credere.

Ballerini
Il “Fred Astaire degli uccelli” è l’astrilde testa blu (Uraeginthus cyanocephalus): un uccellino africano, grande circa una decina di centimetri, dal piumaggio azzurro. Quando si tratta di conquistare la femmina, per l’astrilde testa blu – e per i suoi cugini astrilde blu (Uraeginthus angolensis) e cordon blu (Uraeginthus bengalus) – non c’è niente di meglio che ballare il tip tap. A un occhio poco esperto, il corteggiamento di questi estrildidi sembrerebbe composta da banali saltelli. E invece, osservandoli a più di 300 fotogrammi al secondo, si nota che ogni singolo salto è in realtà un tripudio di passi. E proprio come il nostro tip tap, si può ballare anche in coppia: nell’astrilde testa blu anche la femmina danza con il maschio.

Il 25 marzo 1983, Michael Jackson – giacca nera, pantaloni con orlo corto, calzini bianchi e guanto tempestato di strass sulla mano sinistra – eseguì per la prima volta il moonwalk sulle note di Bill Jean. Quella camminata all’indietro, in cui sembrava fosse trasportato da un tapis roulant nascosto, sarebbe diventata immediatamente celebre. Un’esibizione che stupì anche Fred Astaire che lo definì “il più grande ballerino di tutti i tempi”. Sei anni più tardi, nella Guida agli uccelli del Costarica, Gary Stiles e Alexander F. Skutch svelarono che un piccolo passeriforme tropicale dal peso di soli 15 grammi usava già “uno scivolamento all’indietro con le gambe distese” per conquistare la femmina. È così il maschio di manachino capirosso (Pipra mentalis), completamente nero, fatta eccezione per la testa rosso brillante e le zampe piumate gialle, divenne per tutti “l’uccello che fa il moonwalking”.

I maschi degli uccelli del paradiso con i loro piumaggi appariscenti, vaporosi, con macchie cangianti, sono eccezionali ballerini e trasformisti: la bellezza del piumaggio è la loro carta vincente e danzano per mettersi in mostra.

Tra gli uccelli endemici della Nuova Guinea c’è invece chi ricorda, nei movimenti, gli assoli dei celebri balletti di danza classica: i maschi delle diverse specie di paradisee dalle sei penne, appartenenti al genere Parotia, quasi completamente neri, fatta eccezione per la gola o la fronte dai riflessi metallizzati, dietro ciascun occhio presentano tre penne allungate (da cui il nome). Non appena avvistano la femmina, indossano il “tutù” e danzano in punta di zampe: dai lati del collo e del dorso si aprono improvvisamente delle penne nere, allungate e sfilacciate, che formano una ruota intorno al corpo del maschio.

In generale tutti i maschi degli uccelli del paradiso con i loro piumaggi appariscenti, vaporosi, con macchie cangianti, sono eccezionali ballerini e trasformisti. Del resto la bellezza del piumaggio è la loro carta vincente, e danzare è il modo più semplice per mettersi in mostra.

In queste danze nulla è lasciato al caso o all’improvvisazione, ogni passo è studiato meticolosamente, ripetuto in una sequenza precisa, proprio come una coreografia. Questi ballerini scelgono poi con estrema cura il palco dove esibirsi, e lo puliscono in modo quasi maniacale, si danno da fare per rassettare il palcoscenico prima di ogni esibizione: sistemano rametti, spostano gli oggetti che potrebbero interferire con la buona riuscita della danza e arrivano persino a levigare il ramo su cui si poserà la femmina per giudicarli. Come per spolverarle la poltrona.

Fonte: il tascabile.com
Immagine di copertina: Foto © Adrie Hubregtsen

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