Un filo diretto con l'etologia cognitiva e relazionale

Filosofo, etologo e zooantropologo.
Da oltre vent’anni conduce una ricerca interdisciplinare volta a ridefinire il ruolo degli animali non umani nella nostra società.
Direttore del Centro Studi Filosofia Postumanista e della Scuola di interazione uomo-animale (Siua), è autore di oltre un centinaio di pubblicazioni nel campo della bioetica animale, delle scienze cognitive e della filosofia post-human.
È inoltre direttore della rivista “Animal Studies”, la Rivista Italiana di Zooantropologia (Apeiron).

Nati per giocare

nati per giocare

Il gioco rappresenta uno dei momenti fondamentali nella vita dei mammiferi, animali che sembrano proprio tagliati in questa dimensione.

Fin dai primi momenti, quando ancora l’andatura è barcollante, si affacciano alla vita con l’impulso di esprimersi giocosamente. Il cucciolo di gatto che rincorre la coda della mamma, i cuccioli di cane che interagiscono tra loro in un caleidoscopico tramestio di bocche che si cercano e si provano. Si gioca per entrare in relazione con il mondo, per esercitare le proprie disposizioni, per allenare il corpo, ma soprattutto per costruire relazioni. Per questo ad aprire la sessione ludica troviamo varie forme d’ingaggio: il balzo laterale nei gattini, l’inchino per gioco nei cani. Giocare non è soltanto piacevole, nel senso di suscitare emozioni positive, rilassare, gratificare, ma è ancor prima appagante, vale a dire capace di acquietare il bisogno di essere protagonista, quel languore di mondo che percorre la mente e il corpo.

È appagante nel senso di consentire di esprimere e incanalare le proprie energie in attività che, essendo per finta, sono esenti da paura, frustrazione, stress. Tutto il corpo sembra desiderarlo, entrare in fibrillazione nel piacere di lasciarsi coinvolgere in questa attività dal saldo puntualmente positivo. Entriamo allora nell’universo del gioco.

Non banalizziamo il gioco, ha avuto un’importanza fondamentale per fare di noi ciò che siamo!
Da adulti spesso ci dimentichiamo quanta parte l’attività ludica ha avuto nel costruire il profilo della nostra identità, per poi scoprire che le nostre passioni, quelle che tuttora sostengono le nostre occupazioni, hanno avuto proprio in un gioco remoto il loro incipit. Se è così presente, pressante, urgente, in questi strani animali che hanno fatto delle cure parentali il loro asso nella manica, una ragione ci dev’essere. Pertanto occorre chiedersi quali vantaggi ha apportato il gioco nei mammiferi. Le ipotesi sono molteplici. Innanzitutto, attraverso il gioco, l’animale allarga il suo orizzonte esperienziale, perché prende contatto con l’ambiente, si relaziona con le cose presenti nella realtà esterna, interagisce con i propri simili. Poi, grazie al gioco, il cucciolo prende sicurezza nelle proprie capacità, attraverso una corretta gradualità di esercizio, vale a dire affrontando per piccole prove quelli che saranno i grandi problemi della sua esistenza. Inoltre attraverso il gioco il cucciolo può sperimentare, affinare i propri strumenti di conoscenza, realizzare in pienezza la propria individualità. Infine possiamo affermare che grazie al gioco il cucciolo può esercitare i propri comportamenti di adulto sotto la supervisione del genitore che, così facendo, è in grado di orientare, indirizzare, strutturare in lui uno stile corretto di specie.

Per poter giocare insieme agli altri è indispensabile evitare qualunque forma di fraintendimento. Spesso il gioco si stempera nelle diverse attività che l’individuo mette in atto cosicché è arduo e forse futile cercare di delimitarne il dominio. Altre volte, invece, il fatto di trovarsi in una condizione di finzione è ben marcato, al punto che l’animale si preoccupa di ribadire che si tratta di gioco, che cioè il suo comportamento non va preso sul serio. Questo vale soprattutto se si tratta di un gioco sociale. Giocando con Maya, una femmina di rottweiler, ci divertivamo come matti a esagerare minacce l’uno verso l’altra, ma non ho mai avuto dubbi sulla natura del suo ringhiare. Tutto era molto esplicito, grazie a un insieme di rituali che andavano a introdurre la fase ludica. Nei cani, infatti, si è sviluppata una coreografia comunicativa che ha come primo obiettivo proprio il segnalare a un compagno che ci si trova all’interno di una condizione di gioco. L’inchino è una particolare postura che ogni proprietario conosce bene e che apre una sessione ludica, quasi un virgolettato attraverso cui il cane rimarca che tutto quello che farà o esprimerà d’ora innanzi va considerato “per gioco”. Per questo tra gli etologi questo rituale comunicativo è considerato un metasegnale ovvero un segno che si riferisce ad altri segni.

Quando il gioco diventa un lasciapassare utile per favorire una relazione sociale positiva.
Il gioco diminuisce le distanze sociali: è, a tutti gli effetti, una specie di collante che può stemperare una criticità o rendere possibile un avvicinamento. I segnali che un cane invia per aprire una dimensione ludica possono servire per ingaggiare, vale a dire coinvolgere in un’attività, come per esprimere le proprie buone disposizioni. L’inchino per gioco è pertanto molto di più di una semplice apertura, è una sorta di passepartout che consente al cane di trovare soluzione in una molteplicità di situazioni. Volendo fare solo qualche esempio – nella consapevolezza di trovarci di fronte a un universo che stiamo cominciando a esplorare – possiamo dire che questo rituale è una sorta di cerimonia conviviale che facilita l’interazione sociale amichevole. Un cane può mettere in atto un inchino per prevenire una situazione che lascia presagire qualche difficoltà, per abbassare una tensione sociale, per pacificare di fronte a un atteggiamento minaccioso, per corteggiare una femmina, per ingaggiare qualcuno in una certa attività, per impostare una direzione di marcia, per mettersi in attesa. Abituiamoci a pensare che quasi mai un segnale è utilizzato per un unico scopo. Il gioco è una disposizione e come tale può consentire molte declinazioni dell’essere sociale.

La dimensione della finzione come opportunità per provarsi e mettere gli altri alla prova.
Il gioco presenta una significatività, all’interno della comunicazione sociale, assai accentuata perché entra nel profondo dei comportamenti interattivo-relazionali, ove affiliazione, collaborazione, ingaggio, competizione e posizionamento di ruolo/rango assumono una rilevanza notevole. Nel gioco ci si conosce e ci si mette alla prova, il gioco è agone e parimenti modo per abbattere le barriere. Non ci si deve meravigliare, pertanto, se il virgolettato che indica “per finta” si manifesti con diverse variazioni sul tema. L’inchino per gioco può essere fatto attraverso una postura più o meno eretta, da fermo o in movimento, accompagnato da altre forme di ingaggio, come lo scarto laterale, oppure da segnali giovanili, come il leccarsi il naso o l’uggiolare. Spesso il cane abbaia, ridirige il comportamento di presa buccale sugli oggetti che gli capitano a tiro, può ringhiare o brontolare, rizzare il pelo, agitare la coda a bandiera assertiva o a ciondoloni, ma in tutta questa fantasmagoria espressiva di ingaggio, che varia a seconda del cane e delle situazioni, ci sta dicendo qualcosa di ben preciso: è un gioco. Ci sta mostrando un’intenzione, si sta proiettando in una condizione futura. Tutte le diverse situazioni in cui il cane utilizza l’inchino hanno qualcosa in comune: buttiamola sulla finzione e tutto sarà più facile.

Immagine di copertina: Pixabay

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